Beppe Grillo

domenica, 30 settembre 2007

Con il clamoroso successo del “Vaffanculo day” di Beppe Grillo, possiamo dire che ormai un solo grande girotondo avvolge nel discredito tutta quanta la politica italiana.

Antipolitica? Conosciamo a memoria la lezioncina: il qualunquismo è un’antica malattia italiana; la società civile quando si ribella alla politica secerne umori reazionari, forcaioli, sovversivi; non c’è democrazia senza partiti… Tutte ovvietà condivisibili, se solo fosse autorevole il pulpito da cui ci vengono predicate.
Trascorsi cinque anni dai raduni di massa antiberlusconiani e dai proclami di Nanni Moretti contro i dirigenti della sinistra, appaiono patetici i brontolii sul pericolo rappresentato dall’antipolitica che si odono a destra e a manca.

Il più coerente fra i nemici dell’antipolitica è Massimo D’Alema: fin da quando era un giovane togliattiano lui ha in mente un’idea aristocratica della politica che guarda con sospetto, dall’alto in basso, i movimenti di protesta. Ciò lo ha indotto a collezionare una sequenza impressionante di errori nel corso della sua carriera, ma sempre preservando un certo suo stile. Sarà pure arrogante, ma resta l’unico politico italiano che abbia lasciato di sua sponte un appartamento quando si è saputo che godeva di un affitto di favore. Poi c’è Romano Prodi: lo so che mi accuserete di pregiudizio favorevole. Ma siccome conosco la modestia di casa sua, delle sue vacanze, e il tenore di vita dei figli, ne difenderò sempre la moralità personale. Purtroppo potrei dire lo stesso solo di pochi altri politici, capaci di rinunciare ai privilegi, in entrambi gli schieramenti.
Per questo il vaffanculo scatta inevitabile: nella forma beneducata di 820 mila firme del referendum contro la legge elettorale; o con lo sberleffo delle 300 mila firme raccolte da Beppe Grillo su una piattaforma discutibile ma non priva di logica. Perché è vero che non tutti i politici condannati meritano solo per questo l’ineleggibilità (come la mettiamo con i reati d’opinione?). E’ vero che eccezionalmente può avere un senso prolungare un mandato parlamentare oltre le due legislature. Così come è vero che le tanto rimpiante preferenze elettorali furono un veicolo di corruzione clientelare della politica.
Ma avrebbe titolo per replicare efficacemente alle proposte di legge popolari di Beppe Grillo solo chi riconoscesse il degrado in cui versa la politica italiana: è scandaloso il numero di pocodibuono che siedono oggi in Parlamento; è insano che tanti parlamentari vengano rieletti per venti o trent’anni di fila; mortifica la democrazia selezionare dall’alto, con il criterio della sudditanza alla nomenklatura, i candidati alle elezioni.
Se oggi ci appare così improbabile un recupero di democrazia partecipata –nonostante tentativi come il referendum e le primarie del 14 ottobre- ciò dipende dalla straordinaria faccia di tolla con cui vengono snobbate le elementari domande di Beppe Grillo.
A chi oggi predica contro i pericoli dell’antipolitica bisognerebbe innanzitutto chiedere conto delle case comprate a prezzi di favore, dei mutui venticinquennali, delle autorizzazioni a ristrutturare ottenute a tambur battente dalle Belle arti. Proprio così: il giornalista non dovrebbe lasciarli pontificare se prima non abbiano dato conto dei privilegi incamerati.
Negli ultimi anni frequento di rado il centro di Roma, presidiato da quei nuovi strani pali semoventi che hanno sostituito le transenne, limitando l’ingresso nelle isole pedonali alle sole auto del potere. Lì dentro s’incontrano la suburra e il privilegio, come ai tempi del papa re: grisaglie, tonache, mendicanti, zoccole. Con la netta impressione che chiunque vi abbia afferrato una quota di benessere sarà disposto a ogni furbizia pur di non mollarla.
Il malinconico girotondo contro la politica orchestrato da Beppe Grillo non alimenta speranze di riscatto. Ci riunisce nell’imprecazione rassegnata. Coincide con una nuova valanga di denunce circostanziate sul degrado del costume politico italiano che non provoca né dimissioni né sussulti di dignità. Nell’illusione suicida che convenga far finta di niente, tanto prima o poi passerà anche Beppe Grillo.
Da “Vanity Fair”.

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