Ma le leggi di mercato valgono anche per i top manager?

mercoledì, 31 ottobre 2007

Euro stipendi

Per contribuire alla discussione del blog sulle buste paga e sui compensi dei top manager metto in rete questo mio articolo pubblicato da “Vanity fair”.

La sorpresa, in tempi di Borsa calante, ha reso felici i numerosi risparmiatori in possesso di titoli delle Assicurazioni Generali che la settimana scorsa hanno incrementato il loro valore. Ma contemporaneamente ha suscitato allarme rosso nella ristretta cerchia dei potenti della nostra economia, abituati a considerare “roba loro” il comando delle Generali, vera cassaforte della finanza italiana.

E’ successo, molto semplicemente, che un bambino si è alzato e ha detto: “Il re è nudo”. Solo che quel bambino ha le fattezze tutt’altro che ingenue di Davide Serra, un connazionale che guida a Londra il fondo d’investimento speculativo Algebris. Presi carta e penna, ha scritto a Trieste (sede delle Generali) un bella letterina per contestare ciò che non gli piace dell’azienda in cui ha investito dei quattrini. Guarda che coincidenza: la letterina, uscita curiosamente in anteprima sul quotidiano “Mf”, contiene più o meno i rilievi sussurrati a mezza bocca da vari dinamici personaggi dell’establishment italiano, ai quali però non conviene uscire allo scoperto. Algebris sostiene che i dirigenti delle Generali intascano troppi milioni di euro a prescindere dalle loro performances: dunque bisognerebbe ridurre la paga base del top management e incrementare i compensi subordinati al raggiungimento degli obbiettivi. Non basta. Algebris sostiene anche l’inadeguatezza del vertice delle Generali. Non vanno bene un presidente anziano come Antoine Bernheim, 83 anni, con troppi e mal definiti poteri, e sotto di lui due amministratori delegati (Perissinotto e Balbinot) che rischiano di pestarsi i piedi a vicenda. Neppure vanno bene i conflitti d’interesse fra le Generali e Mediobanca, che resta sua azionista di riferimento (traduzione: evitateci la nomina di Cesare Geronzi alla vicepresidenza delle Generali). Anche se nel frattempo, su invito di Giovanni Bazoli, proprio Bernheim, cioè il presidente delle Generali, ha accumulato l’incarico di vicepresidente della banca Intesa-Sanpaolo.

Perdonatemi, lo so che si fa fatica a raccapezzarsi. Vi faccio notare però quanto sia raro trovare qualcuno che, in nome del capitalismo e della voglia di guadagnare, tracci una radiografia così esplicita delle storture di un colosso finanziario! Poi magari verrà fuori che questi gnomi di Algebris hanno agito in maniera discutibile, o per conto di chissà chi. Ma intanto gli effetti sono curiosi. Leggo che Antoine Bernheim è corso subito a Roma per conferire col governatore Draghi e col ministro Padoa Schioppa: tra i paradossi di questa storia c’è la pretesa del vegliardo parigino di ergersi a difensore dell’italianità delle Generali. Così come prendono le distanze tutti gli azionisti che in passato furono sospettati di atteggiamento critico nei confronti delle Generali (da Del Vecchio a De Agostini ai manager più giovani di Mediobanca). Alle critiche di Algebris si replica ufficialmente esibendo i buoni risultati aziendali delle Generali e spargendo il sospetto che i fondi-locusta vogliano insidiarne l’appartenenza nazionale. Sarà, ma rilevo una certa difficoltà a rispondere nel merito delle critiche ricevute. Perché? Perché i potenti della nostra economia –a differenza dei loro colleghi stranieri- sono disabituati all’idea che vengano messi in discussione il loro modo di lavorare e i loro guadagni.

Da decenni neutralizzano i propri insuccessi aziendali e realizzano i loro arricchimenti personali sostenendosi l’uno con l’altro nei patti di sindacato e nei “salotti buoni”. Sempre bisognosi del sostegno reciproco per fare fronte ai debiti, alle inchieste giudiziarie, alle misure antitrust. Basta vedere come in questi giorni è stato beatificato dai giornali sotto controllo di questo fragile establishment Marco Tronchetti Provera in uscita dalla Telecom, dove ha distrutto valore e macchiato la sua reputazione. Ma il fatto è che Montezemolo ha bisogno di Tronchetti Provera così come di Geronzi. E via di questo passo: non a caso il patto di sindacato di Mediobanca si allarga per la prima volta alle aziende di Silvio Berlusconi. Un establishment sempre più ristretto e scalcagnato cerca sempre nuove sponde per reggersi in piedi. E allora non può che guardare con fastidio alle locuste inglesi, senza rispetto, che pretendono addirittura di ficcare il naso nella gestione delle Generali.

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