Perche’ difendi i rom?

venerdì, 2 novembre 2007

Campo nomadi rom

Questo e’ l’articolo che ho scritto appena arrivato qui a Gerusalemme. Esce oggi su “Repubblica”.

Cercava la borsa o la vita, Nicolae Mailat? Il denaro o una donna da
ghermire come preda, per sentirsi uomo realizzato nella sopraffazione –
secondo un insegnamento atavico perpetuato dalle caverne alle tende,
fino alla baracca di Tor di Quinto?
Ci ha turbati, negli anni delle guerre balcaniche, l’interrogativo sulla crudelta’ slava: stupro etnico, gli occhi cavati ai prigionieri. Fede e etnia, sangue e suolo.
Cosa hanno serbi, croati, bosniaci di cosi’ diverso da renderli capaci
di atrocita’ per noi inimmaginabili?

Poi ci si e’ tragicamente imposta la barbarie asiatica dei musulmani: kamikaze, sgozzatori d’innocenti, padri padroni disposti a infierire sulle proprie femmine.
Irriducibilmente altri da noi nel valore attribuito alla vita umana? Adesso che parole inventeremo per dire la natura feroce dei maschi rumeni –o della loro sottospecie rom, zingara- solitamente accomunati agli italiani nella matrice culturale latina? E’ per noi duro constatare come l’uomo europeo sia ben lungi dall’avere trionfato sui bisogni materiali che sempre rischiano di imbestialirlo. Ci imbarazza la sensazione di fare i conti con una subumanita’, giunta fra noi da troppo vicino e con i documenti scandalosamente in regola. Gli stessi luoghi obbrobriosi in cui si raduna questa subumanita’, accampamenti che ci fanno paura e vergogna, confermano il sospetto di un’indole selvatica senza speranza di normalizzazione.
Quali “boccaporti” ha dunque spalancato la Romania, per usare l’espressione del sindaco Veltroni? Quale popolazione incanaglita Bucarest ha dirottato a far danno in casa nostra? Dobbiamo ricordare che i primi ad offendersi quando si chiamano “romeni” i rom, sono i romeni stessi. Li soffrono come un corpo estraneo che affligge il loro territorio e nuoce al prestigio della nazione . Elencando i vizi dei rom, sperano forse di esorcizzare la disgraziata vicenda novecentesca che invece li accomuna. La Romania frantumata dal giogo della Securitate comunista ha dovuto poi sopportare non solo la poverta’ ma la desertificazione delle relazioni familiari, dei sentimenti, degli affetti. Non solo l’impressionante numero di aborti ma anche la percentuale record di bambini abbandonati a decine di migliaia negli orfanotrofi, negli anni del dopo Ceausescu. Senza che quella scelta tragica, disfarsi del neonato ricoverandolo negli istituti, venisse giudicata poi cosi’ riprovevole dalla societa’ circostante. Intanto le fogne di Bucarest si popolavano di branchi di bambini selvaggi che vivevano di furti e si drogavano con l’etere. Saranno mai addomesticabili, quei bambini? E’ la domanda brutale che ci siamo fatti ancora ieri, a Milano, leggendo di Alexander, 9 anni, preso e scappato per sessanta volte in seguito ai suoi maldestri tentativi di borseggio. Come ci si deve comportare con uno come Alexander? Sbatti in prigione un bambino di 9 anni? Lo espelli in Romania? C’e’ forse un’alternativa ai continui, incerti, fallimentari tentativi di affido e di recupero? Oggi siamo intimiditi dall’orrore di Tor di Quinto e dalle percentuali di devianza criminale che inchiodano l’immigrazione rumena. Nessuno puo’ negare l’urgenza di un giro di vite nelle politiche di sicurezza, a tutela dei cittadini e dell’ordine pubblico. Eppure la stessa pieta’ femminile che in questa tragedia s’impersona nella nobile figura di Emilia -la rom che si getta in mezzo alla strada per bloccare l’autobus, da’ l’allarme, denuncia il violentatore di Giovanna Reggiani sapendo il rischio che cio’ le comporta- dovrebbe dirci che nei campi abusivi non c’e’ solo perdizione. Nelle baraccopoli si vive in forma sistematica una violenza fisica e sessuale sulle donne che e’ piaga sociale estesa nelle case degli italiani piu’ di quanto non siamo disposti ad ammettere, senza bisogno di trasmigrare in Romania o in Somalia. Ma proprio la violenza che affligge le bidonvilles spinge per prime molte loro donne a cercare una via di salvezza. Incoraggiando i mariti alla ricerca di un lavoro sicuro e di un alloggio, iscrivendo i figli alla scuola dell’obbligo.
Si aggrappano a chiunque le accompagni in un percorso pieno d’incertezze, piccoli successi e grandi fallimenti: dalle maestre elementari agli assistenti sociali, ai poliziotti. Numerose denunce sui traffici illeciti perpetrati nei campi rom, giungono alle forze dell’ordine dall’interno dei medesimi campi.
Tutto cio’ non spiega, ovviamente, la ferinita’ del comportamento di Nicolae Mailat. Ne’ smentisce l’esistenza di una tradizione maschilista criminale difficile da controbattere, soprattutto in quei luoghi –i campi- che non dovrebbero esistere ma che sappiamo benissimo ineliminabili dal nostro panorama metropolitano. Demolire le baraccopoli e’ un proclama ipocrita. Con la firma del decreto legge governativo la tv ci mostrera’ gli autobus dei pregiudicati rumeni giustamente rispediti da dove vengono. Ma non per questo spariranno gli insediamenti abusivi in cui assieme ai rom vivono ormai tanti nuovi poveri italiani, o immigrati con regolare permesso di soggiorno e posto di lavoro. A constatarlo, si passa immediatamente per difensore dei clandestini o peggio dei delinquenti . A destra c’e’ gia’ chi vorrebbe semplificare in due poli contrapposti la politica italiana: da una parte i partiti di popolo, difensori dell’interesse nazionale; dall’altra la sinistra antagonista riciclata come partito degli immigrati. La crudelta’ dei rumeni viene cosi’ contrapposta a una visione poetica, irenica della “differenza rom” che piace forse ai registi ematografici, ai musicisti, agli stilisti, ma non certo agli abitanti delle nostre periferie. Dove si rafforza inevitabilmente l’idea di un popolo di troppo, un popolo tutto quanto criminale, un popolo colpevole nel suo insieme. Non c’e’ solo la licenza verbale per cui Radio Padania Libera puo’ trasmettere, connivente, telefonate in cui i rom sono definiti “una razza bastarda da sterminare, per la quale ci vorrebbe un uomo come quello coi baffetti”. Non penso solo alle spedizioni violente contro i campi, o ai bivacchi spontanei in cui sempre piu’ spesso viene evocata la necessita’ delle camera a gas. Penso soprattutto alle lettere accorate di cittadini che in buona fede mi chiedono: perche’ difendi i rom? Laddove si presuppone un’equivalenza: difendi i rom, quindi difendi i ladri, i violentatori, gli istigatori all’accattonaggio infantile.
Mi scrivono: possibile che non ti rendi conto? Non lo vedi che i rom “per loro natura” sono irrimediabilmente criminali? Lo stereotipo del popolo “per sua natura” minaccioso alimenta, con l’insicurezza, una corrente di violenza sotterranea che permea la nostra societa’. Un giorno o l’altro –speriamo lontano- chi teorizza la necessita’ di eliminare queste presenze moleste dal nostro panorama metropolitano, passera’ dalle parole ai fatti. Ce lo insegna la storia. Non a caso le democrazie piu’ addestrate dalla loro vicenda storica alla fatica della convivenza multiculturale, sono anche le piu’ severe nel sanzionare la licenza verbale, l’incitamento all’odio xenofobo. Letto nell’Italia di oggi, sotto choc per il crimine di Tor di Quinto, pare arrivato da un altro pianeta il Manuale di stile e uso del “New York Times” che raccomanda: “L’origine etnica di una persona arrestata per aver commesso un crimine non e’ mai pertinente a meno che il suo caso abbia sottintesi etnici”. Ma se davvero il 75 per cento dei crimini commessi quest’anno a Roma e’ opera di cittadini rumeni, sara’ mai possibile vincolare noi stessi a un simile codice di civilta’?

I commenti sono chiusi.

I commenti di questo blog sono sotto monitoraggio delle Autorità. Ti preghiamo di mantenere i toni della discussione entro i limiti di buona educazione e netiquette in essere come regole del blog. Inoltre usa con moderazione i seguenti comandi di formattazione testo.