Replica a Mentana sulla minestra Raiset

mercoledì, 28 novembre 2007

stretta di mano

Con Enrico Mentana già affrontate e risolte le questioni personali: amici come prima, figuriamoci. Ma a lui e ai molti che hanno scritto nel blog devo una risposta più argomentata sulla minestra Raiset che non mi piace. Eccola, l’ho pubblicata su “Vanity fair” di questa settimana.

Nel corso dei cinque anni di governo Berlusconi la Rai ha felicemente conseguito ascolti superiori alla concorrenza. Nello stesso periodo la Mediaset ha felicemente incassato profitti superiori in percentuale a qualunque altro network televisivo del mondo.
E allora di che cosa si lamentano
le anime belle? Non è forse andata bene per tutti? Temo ragioni così la maggioranza degli italiani, e non cambierà idea in seguito alla pubblicazione delle intercettazioni telefoniche dell’inchiesta sulla bancarotta Hdc, che certificano la collaborazione fra manager cresciuti insieme nello staff di Berlusconi prima di assumere la guida di aziende in teoria concorrenti. Le loro conversazioni evidenziano una cura spasmodica dell’immagine del Cavaliere, assunta come missione comune su entrambi i fronti. Ma questa non è certo una novità in Italia: l’asservimento di dirigenti e giornalisti al potente di turno è da sempre la regola in Rai e in Mediaset. A parte il piccolo dettaglio che Berlusconi è anche il proprietario della seconda.
La novità dei cinque anni di governo mediatico del centrodestra è un’altra, e si chiama accordo di cartello. Cioè la pianificazione concertata nella compravendita dei diritti televisivi e nel passaggio degli artisti, l’imposizione di tariffe concordate ai produttori di contenuti e la preclusione di ogni alternativa per gli inserzionisti pubblicitari. Perfino le grandi major del cinema americano si resero conto dell’impossibilità di trattare Rai e Mediaset come entità concorrenti, da quando al governo c’era lui, il monopolista. Per molto meno l’Autorità antitrust ha comminato multe milionarie alle compagnie d’assicurazione, colpevoli di concordare i prezzi a danno dei consumatori. Insomma, stiamo parlando di un attentato alla libera concorrenza che in America susciterebbe scandalo unanime, a cominciare dalla destra liberista.
A due anni di distanza ricordiamo con imbarazzo la decisione Rai di rinviare la notizia della morte di Giovanni Paolo II per non interrompere un’intervista registrata di Vespa a Berlusconi. Ma a essere maliziosi dovrebbe farci riflettere ancor più il trasloco dalla Rai a Mediaset dei diritti sulle partite del campionato di calcio.
Quando Deborah Bergamini arriva direttamente dalla segreteria particolare del presidente del Consiglio al marketing strategico della Rai; o più ancora quando un manager di stretta osservanza Fininvest, poi coordinatore della campagna elettorale di Forza Italia, come Alessio Gorla, assume il coordinamento del palinsesto, degli appalti e delle risorse artistiche della televisione pubblica: ebbene, si realizza un disegno che va ben al di là della tradizionale lottizzazione.
Prima di cadere in disgrazia, fra gli artefici di questa occupazione aziendale della Rai a scopo di lucro e di potere c’era anche Luigi Crespi, noto per avere inventato il “Contratto con gli italiani” della campagna elettorale 2001. Una persona che ho conosciuto bene dopo la sua bancarotta e il suo arresto, tanto da provare stima per la saggezza quasi buddista con cui ha elaborato la sua rottura col Cavaliere. Senza acrimonia, ma senza compromessi. Consiglio a tutti la lettura del suo diario “L’Antidoto” (Il Clandestino, Anima Edizioni) perché è una sintesi disincantata del berlusconismo che l’ha dapprima accolto, poi condotto al successo, infine stritolato non appena Crespi decise di approfittare del potere conseguito per “allargarsi” in proprio. Spiega bene l’architrave del messaggio del Cavaliere: “Io, Silvio Berlusconi, posso renderti felice”. Un fascino esercitato anche su questi manager devotissimi che l’accompagnano negli affari e nella politica.
Le intercettazioni telefoniche di Deborah Bergamini sono state disposte proprio dai magistrati che indagano sul crack occorso alla società Hdp di Crespi, dopo che Berlusconi l’aveva sollecitato ad affidarsi al banchiere Fiorani. E’ ammirevole la franchezza con cui Luigi Crespi, ridotto oggi ai limiti della sussistenza, pur evitando chiamate di correo dei suoi ex colleghi, ricorda il dispiegamento di quella rete. Lui che era (e resta) uno straordinario sondaggista e stratega della comunicazione, s’illuse di poter fare come gli inglesi fratelli Saatchi che, dopo aver vinto la campagna elettorale di Margaret Thatcher, costruirono in proprio una grande agenzia pubblicitaria. Sta ancora leccandosi le ferite, nel paese della concorrenza proibita.

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