Torno ora dal funerale di un uomo di 26 anni (non sopporto la retorica di chi li riduce a “ragazzi”), Rosario Rodinò. Ho abbracciato suo padre, pensionato dopo 34 anni di lavoro alle acciaierie ThyssenKrupp, il posto ceduto a questo figlio andato a morire tra le fiamme della linea 5 durante il turno di notte.
Nella chiesa di periferia, in corso Giulio Cesare, sono arrivati Romano e Flavia Prodi. Lui, avvertito ieri pomeriggio, ha aggiunto all’ultimo momento questa tappa torinese prima di ripartire alla volta di Kabul. Una scelta che rafforza la mia stima e il mio affetto nei suoi confronti. Ma è inutile girarci intorno: a salutare il sesto operaio morto in questa tragedia dovuta molto più a una colpevole incuria che non a fatalità, eravamo troppo in pochi.
Non è tanto una questione numerica, Rosario se n’è andato circondato da una partecipazione emotiva autentica, con la sua canzone preferita dei Negramaro, una bellissima fotografia di lui a torso nudo davanti alla bara, e sopra la maglia della Juventus autografata dai calciatori.
Voglio dire che di nuovo, come già in cattedrale e poi nelle esequie dell’altro collega, l’arcivescovo ha celebrato di fronte a una presenza quasi esclusivamente operaia.
Tranne sparute eccezioni, la Torino borghese, l’intellighenzia, gli imprenditori che pure dovrebbero sentire come proprio il tema della sicurezza del lavoro, brillavano per la loro assenza. Mi aveva già stupito, giovedì 13 dicembre scorso, il fatto che gli studenti torinesi non avessero sentito il bisogno di ritrovarsi al fianco della classe operaia per condividerne il lutto.
Mi spaventa questa separazione. M spaventa il calcolo del deputato leghista Borghezio: i morti sul lavoro nel primo trimestre di quest’anno sono più di tutti i morti degli anni di piombo, stragi comprese. E se qualche giovane operaio fra quelli che stamattina piangevano l’amico scomparso, e si domandavano dove trovare lavoro dopo la chiusura anticipata della fabbrica, cominciassero a coltivare propositi di vendetta terroristica? Per fortuna è un’ipotesi remota.
Capita di rado di incontrare la compostezza, la dignità, oso dire anche la bellezza di questi giovani operai, diplomati, vestiti e pettinati alla moda, che non meritano la retrocessione sociale cui la società sembra condannarli.
Fra le tante emergenze di cui ci riempiamo la bocca, l’umiliazione del lavoro operaio è la meno gridata ma forse la più evidente.