All’Infedele il dopo Prodi. Con Bachelet, Pezzotta, Lupi

mercoledì, 30 gennaio 2008

dopo Prodi

Stasera alle 21,30 su La7 ragioneremo su una crisi di governo che sembra andare dritta filata verso elezioni vittoriose per Berlusconi (proprio sicuri?) nonostante settori importanti dell’establishment come la Chiesa, la Confindustria e i sindacati chiedano invece un governo istituzionale. Cosa significherà per l’Italia la loro evidente debolezza, dopo la sconfitta di Prodi? Ne ragioniamo con: Giovanni Bachelet, Savino Pezzotta, Bruno Tabacci, Maurizio Lupi, Roberta De Monticelli, Ida Dominijanni, Marco Damilano.

Come antipasto vi propongo questa mia riflessione uscita oggi su “Vanity fair”.

Romano Prodi ha continuato a trasmettere un senso di precarietà fin dal primo giorno in cui ha rimesso piede a Palazzo Chigi, fingendo esultanza per una vittoria elettorale mutilata e imprigionato nella ragnatela di una mini-partitocrazia. Ridimensionato a tecnico mediatore. Asserragliato con un gruppo informale di amici alla guida di un governo cui sarebbero mancati la disciplina e lo slancio di un progetto politico Se oggi non mi appassiona il dibattito sulla fine del prodismo, è solo perché dal 2005 già più volte in questa rubrica e in un libro ho preso atto con dispiacere dell’impossibilità che l’inventore dell’Ulivo diventasse anche il fondatore di un partito nuovo, all’altezza della sfida. Infatti il Partito democratico l’hanno fondato altri, in ritardo, quando si sono resi conto che Prodi traballava e bisognava prepararne la successione.
Onde prevenire equivoci: non sto scendendo dal cavallo sconfitto. In questa Italia che si prepara a un bel remake tipo “Berlusconi 3”, sono convinto che il tempo sarà galantuomo anche con Prodi, rivalutandone le notevoli capacità di governo oltre che la rettitudine personale. Ma se il suo governo è caduto senza bisogno di spallate -nonostante che i vari Dini, Mastella, Casini, e anche lo stesso Fini, non desiderassero affatto il ritorno in sella di Berlusconi cui ora poco onorevolmente si adeguano- vuol dire che più di un biennio è impossibile reggere il timone di un paese, senza leadership politica.
Mi sa che avremo tempo di ragionarne tranquillamente, con il mio amico Romano. Cui non augurerei certo un terzo biennio di governo dopo quello del 1996-98 e quello del 2006-08, due brevi cicli virtuosi di risanamento dei conti pubblici senza cui l’Italia sarebbe in bancarotta. Ma a chi volete che interessi, ormai, il destino della famiglia bolognese dell’Ulivo? Siamo costretti a guardare oltre, addentrandoci in un ignoto che temiamo di riconoscere come fin troppo risaputo.
Silvio Berlusconi ha capito che il ciclo della sua leadership potrà infrangere il record del ventennio novecentesco. Ha inaugurato la sua ennesima campagna elettorale a Napoli, di fianco alla faccia di tolla dell’ennesimo transfuga titolare di un partitino personale traghettato da uno schieramento all’altro. Ha detto che le due prime leggi del suo nuovo governo saranno l’abolizione dell’Ici e una forte stretta alle intercettazioni telefoniche. Non mi pare una grande rivoluzione liberale. Ha promesso che dopo la vittoria sarà magnanimo e, come Sarkozy, recluterà i migliori dello schieramento avverso. Ma se, per vincere, la legge elettorale vigente gli impone di collezionare alleati come quel pregiudicato che gli sorrideva accanto, potrà mai dopo il voto evitare di retribuirli con adeguate fette di potere?
Mettiamo pure il caso che oggi l’alternativa sia solo fra un governo Berlusconi migliore o peggiore di quello precedente. Non c’è dubbio che la legge elettorale vigente, costringendo gli aspiranti vincitori a concedere seggi fino all’ultimo minuscolo alleato di coalizione, peggiorerà l’equilibrio parlamentare futuro. E allora mi chiedo se non sarebbe dovere del presidente Napolitano, nell’interesse di tutto il paese, a cominciare dalla sua potenziale maggioranza di centrodestra, fare in modo che prima del voto politico si celebri il referendum elettorale già considerato ammissibile dalla Corte Costituzionale.
Due voti al posto di uno, in primavera? Sono impazzito? Un attimo, pensate alla differenza: una volta approvato il referendum, Berlusconi godrebbe di una legge elettorale in grado di fornirgli una maggioranza politica molto più compatta. Il governo ne guadagnerebbe in efficienza e, speriamo, in lungimiranza.
Il mio auspicio è che le forze politiche incapaci di mettersi d’accordo su un governo di scopo per la riforma elettorale, accettino che in proposito siano chiamati a esprimersi i cittadini tramite il referendum già indetto. Sono ingenuo, lo so, ma si tratterebbe dell’unica procedura autenticamente democratica.
Ci resterà poi da vedere se dopo la seconda caduta di Prodi sia davvero così scontato il terzo ritorno a Palazzo Chigi di Berlusconi. Io credo di sì, ma non ci metterei la mano sul fuoco.

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