Il Vaticano e la conversione degli ebrei

venerdì, 8 febbraio 2008

La conversione di San Paolo

Questo mio articolo è uscito oggi su “Repubblica”.

Destreggiandosi invano fra la luce e le tenebre, un infelice artifizio dialettico rivela oggi agli ebrei che la Chiesa cattolica non può smettere di additarli come popolo anomalo, un’imperfezione da sanare. Avendo elevato la lotta contro il relativismo a priorità del suo magistero, Benedetto XVI deve anzi ribadire con forza quell’imperativo –la conversione degli ebrei- che i suoi predecessori avevano deciso di mettere in sordina.
Da mezzo secolo, ormai, la Chiesa s’interroga su quanto sia lecita teologicamente una svolta relativista a proposito della conversione degli ebrei. Fondamento di dottrina che si richiama a San Paolo e da cui, per oltre diciannove secoli, trassero alimento la diffidenza e il disprezzo nei confronti del popolo della Bibbia, colpevole di negare la divinità di Cristo. Se di nuovo quel proposito di correzione-conversione viene ribadito come elemento decisivo della fede cristiana, sarà difficile farlo coesistere con la ricerca dell’amicizia in uno spirito di riconciliazione.
Lo rivelano le modifiche testuali, solo in apparenza attenuative, disposte dal Vaticano nel messale del rito tridentino per il venerdì santo, quello da cui nel 1959 Giovanni XXIII eliminò l’odioso riferimento alla perfidia ebraica. Al posto della preghiera per il “popolo accecato” perché “sia strappato alle tenebre”, oggi il Vaticano formula un eufemistico auspicio: “Preghiamo anche per gli ebrei, affinché Iddio Signore nostro illumini il loro cuore e riconoscano Gesù Cristo come Salvatore di tutti gli uomini” (i corsivi sono miei).
Non è piacevole essere oggetto di una tale speciale attenzione, risparmiata ad altri popoli. Poco cambia, evidentemente, che i riferimenti all’accecamento e alle tenebre vengano sostituiti dall’augurio di illuminazione e dalla speranza di riconoscimento. Questa nuova preghiera che confida in una provvidenziale folgorazione degli ebrei –che finalmente desistano dall’errore- adegua l’argomento con cui numerosi santi e dottori della Chiesa definirono gli erranti come “popolo maledetto”. Un insulto rimosso, quest’ultimo. Ma potenzialmente implicito nell’attesa di una resipiscenza ebraica, condizione indispensabile per la Salvezza di tutte le genti alla fine della storia. Prima o poi è necessario che gli ebrei, per quanto rispettabili nella loro ingiustificata ostinazione, riconoscano la Verità che pure duemila anni or sono fu rivelata sotto i loro occhi, nella loro terra.
Per secoli la Chiesa ha preteso di rappresentarsi come “la nuova Israele”. Fu Giovanni Paolo II, sulla scia del Concilio, a sconsigliare l’uso di questa espressione tipica di una teologia sostitutiva per cui l’Alleanza del Monte Sinai sarebbe invalidata e soppiantata dalla Nuova Alleanza. Dunque coloro che non vollero riconoscerla sarebbero per questo condannati al disprezzo, fin tanto che non si convertiranno.
Si spiegano così la protesta e la pausa di riflessione annunciate dall’assemblea rabbinica italiana nel dialogo con la Chiesa di Roma. “Vengono meno gli stessi presupposti del dialogo”, ha rilevato il suo presidente Giuseppe Laras. Il Vaticano, infatti, non aveva alcuna necessità immediata di introdurre questo nuovo testo, visto che già nel 1970 Paolo VI l’aveva completamente modificato la preghiera del venerdì santo, limitandosi all’augurio, ben diverso, che il popolo ebraico sia fedele alla sua Alleanza.
E’ interessante ricordare che lo stesso Paolo VI –come confermano suoi appunti scritti- nel 1964 restava contrario a una dichiarazione conciliare sul popolo ebraico nella quale mancasse un riferimento all’imperfezione e alla provvisorietà della sua condizione, visto che “tale speranza è esplicitamente espressa nella dottrina di S: Paolo sugli ebrei”. Papa Montini preferì allora custodire nell’intimo tale convincimento. Un anno dopo vide la luce la “Nostra Aetate” con cui la Chiesa scagionava gli ebrei dall’accusa di deicidio, senza riferimento alla necessità della loro conversione.
Da allora molto cammino si è compiuto, allietato da storici gesti di riconciliazione e promesse d’amicizia. Ma la Chiesa cattolica fatica a compiere il passo più difficile nei confronti degli ebrei: l’elaborazione di una nuova teologia che archivi definitivamente la teologia sostitutiva.
Non a caso, per motivare la scelta vaticana di riproporre –così infelicemente modificato- il messale in vigore nel 1959, il cardinale Kasper s’è richiamato alla dichiarazione “Dominus Iesus” pubblicata nell’agosto 2000 dalla Congregazione per la Dottrina della Fede presieduta da Joseph Ratzinger. Riaffermando solennemente che non vi sono altre vie d’accesso alla Verità e alla Salvezza al di fuori di Gesù Cristo, la “Dominus Iesus” giunse come una doccia fredda a ridimensionare, sei mesi dopo, i “mea culpa” del Giubileo. La centralità di fede della conversione degli ebrei tornava così tema prioritario, e pietra d’inciampo, nel dialogo interreligioso.
Venne di conseguenza, nell’ottobre 2005, la designazione del cardinale Lustiger, eminente figura di ebreo convertito, per la commemorazione in Vaticano del quarantesimo anniversario della “Nostra Aetate”. La stessa biografia di Lustiger testimoniava un’accezione del dialogo finalizzata alla conversione. Il rabbino capo di Roma decise per questo di disertare la cerimonia.
Il medesimo filo conduttore di una fede che non ammette relativismi, congiunge la lectio magistralis di Ratisbona –dove il papa rivendicava una sorta di dominio sulla ragione- con la proposta agli ebrei di un dialogo somigliante ad un’amicizia sopraffattrice.
Settant’anni dopo le leggi razziali che “Civiltà cattolica” nel 1938 criticava debolmente, riconoscendovi benefici elementi di opportunità, viviamo per fortuna un’epoca completamente diversa. Ma la questione teologica rimane irrisolta, così come la fatica cristiana di confrontarsi con il Gesù ebreo.

I commenti sono chiusi.

I commenti di questo blog sono sotto monitoraggio delle Autorità. Ti preghiamo di mantenere i toni della discussione entro i limiti di buona educazione e netiquette in essere come regole del blog. Inoltre usa con moderazione i seguenti comandi di formattazione testo.