Ferrara, la Brambilla, Miccichè all’Infedele

mercoledì, 13 febbraio 2008

Giuliano Ferrara

Questo Pdl, ovvero il berlusconiano Popolo delle libertà in cui è rapidamente confluita Alleanza nazionale, riuscirà davvero a semplificare il sistema politico? O il terremoto in corso nel centrodestra promette all’Italia nuova instabilità? A complicare la vita del Cavaliere sopraggiunge la decisione di Giuliano Ferrara, promotore di una lista antiabortista. Stasera aprirò l’Infedele televisivo (ore 21,30 su La7) chiedendo a Ferrara il perché della sua scelta. In studio ospiteremo poi Michela Vittoria Brambilla e il siciliano Gianfranco Miccichè, alle prese con il dopo-Cuffaro. Per il Pd ci sarà Ermete Realacci. E ancora: Franco Bassanini, chiamato da Sarkozy come consulente per la riforma della pubblica amministrazione; lo storico del populismo Alessandro Campi; Maria Laura Rodotà del “Corriere della sera”; e Ludovico Festa del “Giornale”.
Come riflessione introduttiva vi propongo questo mio articolo uscito oggi su “Vanity fair”.

Alla fine non ci è poi andata così male, a noi referendari. Volevamo una legge elettorale maggioritaria che liberasse i partiti grossi dal ricatto di quelli piccoli. L’appuntamento è rimandato all’anno prossimo, causa elezioni anticipate il 13 e 14 aprile. Una cattiva idea: sarebbe stato più utile all’Italia invertire le due scadenze. Ma nel frattempo l’insofferenza dei cittadini per l’eccesso di litigiosità e frammentazione politica, sta convincendo i leader a anticipare gli effetti del referendum. Usano toni pacati e per sopravvivere si riuniscono in partiti più grossi, adempiendo di loro spontanea volontà alla richiesta sottoscritta da 821 mila firme e ammessa dalla Corte costituzionale.
Così, senza alcuna nostalgia, a soli due anni dalle elezioni 2006 daremo l’addio a un sacco di simboli desueti: Ds, Margherita, Forza Italia, Alleanza nazionale, Rifondazione comunista, Comunisti italiani, Verdi, Sinistra democratica. Ciao ciao baby. Al posto di tutte queste sigle , sulla scheda ne troveremo soltanto tre, ciascuna a sostenere il suo candidato premier: Partito democratico per Walter Veltroni, Popolo delle libertà per Silvio Berlusconi e Sinistra arcobaleno per Fausto Bertinotti. Io lo trovo un miglioramento, senza mancare di rispetto a sigle minori come la Rosa bianca per Tabacci premier.
Non sono del tutto tranquillo perché la legge elettorale in vigore consente fino all’ultimo momento giochetti di apparentamento spregiudicati, e finchè non si modificheranno i regolamenti parlamentari può succedere che dei partiti si uniscano alle elezioni per ridividersi subito dopo. Passata la festa gabbato lo santo. Ma la strada tracciata dal Partito democratico scegliendo di correre da solo, elogiata e imitata subito dopo dal Popolo delle libertà, lascia ben sperare.
Forse in Italia sta tornando il tempo dei grandi partiti, come negli anni settanta del Novecento, quando la Democrazia cristiana e il Partito comunista italiano assommavano insieme quasi l’80 per cento dei consensi. Ma con la differenza, in meglio, che Pd e Pdl non sono più partiti-chiesa cementati e contrapposti dall’ideologia. Magari trentacinque anni fa non sarebbe stato considerato ammissibile il cortocircuito telepolitico di Berlusconi, ma nel frattempo l’Italia s’è assuefatta con la scusa che di conflitti d’interesse ce ne sono pure altri.
Vero è che la nuova fisionomia del centrodestra risulta per il momento meno definita, in confronto al Pd che s’è unificato solennemente eleggendo il suo nuovo leader con le primarie. Fini riabbraccia Berlusconi e promette che dopo il voto Alleanza nazionale si unificherà con Forza Italia. Bossi fiancheggia ma corre da solo. Casini chiede aiuto ai vescovi per tenere in vita un partito cristiano di centrodestra. Storace e la Santanchè minacciano una separazione a destra. Il granaio dei voti moderati, la Sicilia, è nel caos dopo la condanna e le dimissioni di Cuffaro.
Non ho la più pallida idea di come Berlusconi comporrà tali ghirigori, e se davvero ce la farà a presentarsi alle urne con un solo simbolo come Veltroni. Ma certo non è il tipo cui manchino argomenti di persuasione sugli alleati riottosi, specie ora che parte largamente favorito.
“O votate me o votate Pd”, ha detto il fondatore del Pdl in piazza San Babila, di fianco alla Michela Vittoria Brambilla che da quando (con nostro maschile rammarico) indossa i pantaloni figura protagonista vincente della svolta. Messaggio chiaro, e condiviso da Veltroni. Puntano entrambi a costruire un sistema tendenzialmente bipartitico. Il predellino di San Babila con leader maturo ma descamisado; versus il cielo azzurro davvero (non di plexiglas) e le verdi colline dell’Umbria con leader incravattato che parla sottovoce.
Chi pensa che il loro destino post-elettorale siano le larghe intese, cioè un governo di grande coalizione, secondo me conosce poco la storia italiana: siamo un paese in cui l’unità nazionale fallisce ogni volta che la si tenta, e non è detto che sia un male. Mi accontenterei che Pd e Pdl inaugurino la sedicesima legislatura votando insieme la modifica dei regolamenti parlamentari, per impedire la proliferazione dei sottogruppi in barba al mandato degli elettori. Se poi davvero la campagna non sarà rissosa, magari ci divertiremo anche.

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