Malpensa e la Padania inventata

sabato, 23 febbraio 2008

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Questo articolo è uscito oggi su “Repubblica”.

Dopo vent’anni che raccontiamo il profondo Nord come nuova questione nazionale, la telenovela Alitalia-Malpensa mi costringe a dubitare: e se avessimo preso una cantonata? La questione settentrionale, alla prova dei fatti, non si è forse rivelata una bufala?
Intendiamoci: il malessere per migliaia di posti di lavoro pericolanti, a causa dell’imminente taglio delle tratte Alitalia, è tutt’altro che un’invenzione. Di più: rischia oggi una débacle del suo modello clientelare la roccaforte leghista del varesotto, erogatrice di una raffica di incarichi pubblici eguagliata a suo tempo solo dall’Irpinia demitiana (ben la simboleggia Giuseppe Bonomi, ex assessore e deputato, già presidente di Alitalia e Eurofly, nominato per la seconda volta a capo della Società aeroportuale milanese). La Confcommercio di Milano, Varese e del Sempione ha proclamato per venerdì prossimo una serrata simbolica, chiedendo a tutti gli esercenti di affiggere una locandina: “Per l’Italia. Sì a Malpensa, facciamo volare la Lombardia”. Un leghista solitamente misurato come Roberto Maroni tuona contro Air France rievocando addirittura l’invasione napoleonica: “Torna l’occupazione centralista parigina”. Mentre il governatore Roberto Formigoni parte all’attacco del governo romano che “ha gettato la maschera: è contro il Nord. Ha detto no a una moratoria chiesta in modo unanime da tutti, dalle istituzioni all’economia ai sindacati”.
E’ paradossale, nella zona a più alta concentrazione industriale del paese, constatare che sia Malpensa sia l’avveniristica Fiera di Rho rischiano il declino tipico delle cattedrali nel deserto. Sempre nuove fiere internazionali di successo trovano sede a Torino, Verona, Vicenza. Proliferano in tutto il Nord aeroporti capaci di un forte incremento di traffico: da Venezia a Villafranca, da Orio al Serio a Linate, da Caselle a Genova, e poi Trieste, Cuneo, Bolzano, presto Treviso. Milano sembra affidare all’incognita della vittoria su Smirne per l’assegnazione dell’Expo 2015 (speriamo bene) gran parte del suo sviluppo futuro.
Così intorno al nodo Malpensa si rinnova il tentativo di fornire una capitale lombarda a questo settentrione dinamico ma contraddistinto da spinte centrifughe. “La Padania” titola: “Malpensa simbolo della riscossa del Nord”. Ma per farlo non basta protestare, bisogna andare a Roma a battere cassa. Perché la Padania non esiste, le sue regioni e le sue province –ma soprattutto la sua economia- seguono direttrici di sviluppo per lo più separate.
Liberisti a parole, i rappresentanti politici del malessere nordista mascherano dietro alla richiesta di una “moratoria” –parola di moda, ma quanto mai vaga- l’ennesimo ricorso alla spesa pubblica. I contribuenti italiani che pagano già un milione di euro al giorno le perdite di un’Alitalia trascinata sull’orlo del fallimento, dovrebbero sobbarcarsi pure il sostegno a un’infrastruttura sino a oggi incapace di trovare alternative di mercato. E la famosa cordata degli imprenditori che, con la regia di Intesa Sanpaolo, hanno manifestato interesse a investire su Malpensa? Al dunque pare che siano disposti a investire solo gli spiccioli, contando che a pagare sia come al solito pantalone. Già sono stati varati stanziamenti per ammortizzare la crisi ma –a nome del Nord- viene chiesto di moltiplicarli e nel frattempo di bloccare i francesi.
E’ significativo che, nonostante i ripetuti appelli a lui rivolti, Silvio Berlusconi si sia ben guardato dal chiedere al governo lo stop della trattativa esclusiva con Air France per la cessione di Alitalia. Il Cavaliere si limita ad esprimere un generico rammarico per la perdita della compagnia di bandiera, ma è ben lieto che la gatta da pelare spetti ancora a Prodi e a Padoa Schioppa. Nessuno dei governi precedenti si era preso la briga di operare chirurgicamente il malato Alitalia. Ora sarebbe imbarazzante, nel corso di una campagna elettorale all’insegna del libero mercato, riproporre logiche da carrozzone pubblico.
Il malessere che da decenni si manifesta come condizione esistenziale unificante il Nord, ma anche le felici trasformazioni del tessuto urbano e il dinamismo di tante economie locali, si sono tradotte in una consolidata egemonia del centrodestra. Ma intorno a Malpensa anche il centrodestra si divide fra protesta e proposta. Non sarà facile tenerli insieme dopo la campagna elettorale. Perché la crisi di Malpensa rivela finalmente che non può esistere il Nord come nazione. Ci hanno provato in tanti, e in tutti i modi: la fiaba sta perdendo il suo appeal suggestivo.
La Lega, che al sogno padano affida per intero il suo destino –al punto di retrodatarlo nelle improbabili origini celtiche- lo ha capito benissimo e non a caso drammatizza Malpensa come questione di vita o di morte. Ma non può negare che nei suoi dodici anni di vita il parlamento padano sia rimasto, agli occhi dei suoi stessi sostenitori, una parodia.
Neppure è mai nata una leadership omogenea dell’imprenditorialità settentrionale: dal napoletano Antonio D’Amato fino al romano Luca Cordero di Montezemolo, la Confindustria s’è ben guardata dall’assecondare spinte nordiste, e niente lascia supporre che la mantovana Emma Marcegaglia muti la rotta.
Ma è significativo che siano risultati velleitari anche i numerosi tentativi di dare vita a un assetto federale –o addirittura confederale- nelle formazioni politiche di centrosinistra. Gli innumerevoli annunci di nascita del Partito democratico del Nord lanciati dai vari Cacciari, Chiamparino, Penati –talvolta minacciosamente secessionisti nei confronti dell’egemonia romana- sono stati felicemente dissolti dalla candidatura a premier dell’ex sindaco della capitale.
Se in vent’anni nessuna Padania ha preso forma significativa che non fosse quella della protesta, vorrà pur dire qualcosa. Giustamente, ormai, anche Formigoni scalpita in vista di un approdo governativo romano, possibilmente avendo trovato una pezza alla crisi di Malpensa.
Dopo tanti fumosi dibattiti su federalismo e secessione, forse dovremo riconoscere che il Nord è una società dinamica, irrequieta, in perenne ebollizione, capace di valorizzare talenti, ma il Nord non diventerà mai un’istituzione. Ce lo suggerisce anche la vasta ricerca di Giuseppe Berta appena pubblicata dagli Annali Feltrinelli.
Smettiamola dunque di fantasticare sul profondo Nord. E cerchiamo piuttosto soluzioni non ideologiche per le sue reti infrastrutturali tra cui può benissimo trovare spazio un hub Malpensa che non più aggrappato all’Alitalia, sua rinsecchita mammella. L’assistenzialismo resta una soluzione sbagliata anche se declinato in lumbard. Sbaglierò, ma prevedo che la questione settentrionale finirà presto di essere uno specchietto acchiappavoti. Magari s’intensificheranno le rivendicazioni localistiche e, peggio, l’ostilità xenofoba. Archiviando però un nazionalismo fasullo e le liturgie del dio

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