La tassa di Berlusconi

mercoledì, 5 marzo 2008

Berlusconi

Meno tasse per tutti? Macchè, il nuovo slogan di Berlusconi è: mantenete Alitalia e Malpensa! Questo è l’articolo pubblicato oggi su Repubblica.

Chi può averlo detto? “Un paese deve saper sopportare le perdite di certe aziende”. Sarà stato Fausto Bertinotti, per difendere l’occupazione in uno stabilimento industriale obsoleto? O magari qualche boiardo nostalgico delle Partecipazioni Statali, specialista nell’addossare all’ignaro contribuente le perdite di bilancio delle sue imprese?
Macchè. Chi ci chiede di farci ancora carico di Alitalia –perché “un paese deve saper sopportare le perdite di certe aziende”- è il più ricco e navigato dei nostri imprenditori privati, candidato premier di un centrodestra che da tempo non finge più di essere liberista.
Ma Berlusconi non era l’uomo del “meno tasse per tutti”? Davvero è pensabile di ridurre il carico fiscale e contemporaneamente “sopportare” (cioè, in italiano, ripianare con soldi pubblici) ancora un deficit Alitalia che costa agli italiani più di un milione ogni giorno? La contraddizione deve essere affiorata pure nella mente di Berlusconi quando ieri, dopo molte sagge resistenze, ha infine ceduto alle pressioni dei leghisti e di Formigoni, nordisti scatenati nella richiesta di aiuti a Roma ladrona. Per trarsi d’impaccio, il nostro teorico del “meno Stato” ha falsificato le cifre di fronte alla telecamera di Sky: non è vero purtroppo che Alitalia perde “solo” 2-300 milioni di euro, come ha minimizzato il leader del Popolo delle libertà. Essendo stato a capo del governo nei cinque anni in cui s’è spalancata la voragine delle perdite, e avendo già in quell’occasione ripianato i debiti con soldi pubblici (senza peraltro alcuna opposizione dal centrosinistra), Berlusconi sa benissimo che il deficit Alitalia ammonta oggi a più di un miliardo e 200 milioni. Circa il sestuplo di quanto da lui dichiarato per chiederci di farcene carico, sempre con la promessa che dopo lui ci ridurrà le tasse e che si formerà una cordata di imprenditori del Nord disposta a investire –non si sa bene- su Alitalia, su Malpensa, o su una nuova fantomatica compagnia aerea padana promossa da Carlo Toto e Corrado Passera. Come ben ricorderà l’allora ministro Maroni: l’ultima volta che (nel 2004) fu varata una compagnia padana, la Volare, nel suo varesotto, la faccenda finì col solito salvataggio pubblico e con l’arresto degli amministratori. Gli imprenditori dell’Assalombarda e la Confcommercio di Sangalli sono stati finora prodighi di disponibilità a fiutare business trainati dall’aiuto pubblico, ma restii a compiere investimenti significativi. E così il “consorzio” auspicato da Berlusconi sa molto di Gosplan, più che di libero mercato.
Del resto il Cavaliere non rinuncerà di certo alla comodità dell’aeroporto di Linate, così come i bergamaschi continueranno a preferire Orio al Serio, e i bresciani Villafranca, anche se votano centrodestra.
La verità è che Prodi e Padoa-Schioppa, dopo avere cercato invano un compratore cinese o del Golfo per la nostra compagnia di bandiera, hanno lasciato che il vertice Alitalia trattasse con l’unica compagnia solida da cui proveniva un’offerta piena di spine, ma seria: l’Air France. L’alternativa all’acquisto da parte dei francesi (che prudentemente attendono il parere del futuro governo prima della firma definitiva) non sarebbe certo la fantasiosa Air Padania, bensì il fallimento di Alitalia. Un fallimento che la politica ha ritardato colpevolmente, impedendo con ciò alla stessa Malpensa di trovare alternative redditizie in un settore –il trasporto aereo- in forte e costante espansione.
Che l’Italia non sia un paese per liberisti, lo sapevamo da un pezzo. Semmai c’è da rilevare che il liberismo sta smettendo di essere l’ideologia dei conservatori anche nei paesi europei che lo praticavano davvero, e che oggi riscoprono il protezionismo anche in chiave antieuropea. Ma il paradosso di Berlusconi, e con lui degli assistenzialisti padani speranzosi di mungere ancora il contribuente, è un altro: il traffico aereo è in crescita dappertutto nel Nord Italia, una delle regioni dal reddito pro-capite più alto del continente. Solo Malpensa, imprigionata dal suo mal congegnato rapporto con Alitalia, finora ha faticato. Intorno ci sono un tessuto industriale e una rete dinamica zeppa di talenti: possibile che gli aeroporti milanesi non producano reddito come i loro omologhi nel resto del mondo? Possibile che il leader politico di un simile territorio ci chieda di “sopportare le perdite di certe aziende”? Forse si era scordato che l’Alitalia è quotata in Borsa, e parole come le sue potevano avere l’unico effetto di scaraventarla in basso, al suo minimo storico.

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