Tremonti “no-global” all’Infedele

mercoledì, 26 marzo 2008

tremonti.JPGStasera alle 21.10 su La7, l’Infedele ospita Giulio Tremonti. Discuteranno con lui: gli economisti Michele Salvati e Christian Marazzi; la segretaria dei tessili Cgil, Valeria Fedeli;gli imprenditori Angelo Ou e Lorenzo Stanca. Come introduzione, vi propongo una mia recensione al libro di Tremonti pubblicata oggi su “Vanity fair”.

Può succedere che un libro ti faccia arrabbiare perché è molto bello. Affronta con intuizioni originali e suggestive il nucleo della crisi che stiamo vivendo, riordina i presagi del “tempo di ferro” che ci attende, ma poi…alla fine s’accontenta di una bugia, là dove una ricerca così suggestiva dovrebbe sfuggire ai luoghi comuni della tradizione.
Devo fare i complimenti a Giulio Tremonti, che si rivela scrittore di talento ne “La paura e la speranza. Europa: la crisi globale che si avvicina e la via per superarla” (Mondatori). Rispunta qui e là perfino l’antico collaboratore del “Manifesto”, spietato nel demolire “il dio mercato” e la “tecno-finanza” di un’élite mondiale cui pure non è certo estraneo (Tremonti presiede la sezione italiana dell’esclusivo istituto Aspen). Ma soprattutto rivela fiuto nell’intercettare il malessere di una società spaventata dallo spettro della Grande Depressione, cioè di una nuova recessione mondiale terribile come quella del 1929. Tutto ciò mentre gli altri leader politici in campagna elettorale sembrano piuttosto giocare a nascondino con i temi più spinosi. Guardate Berlusconi che promette meno tasse e al tempo stesso chiede alle casse dello Stato un prestito-ponte per Alitalia, come se ce lo potessimo permettere vivendo nel paese di Bengodi.
Ricalcando in parte gli argomenti no-global de “L’impero” di Michael Hardt e Toni Negri, Tremonti dichiara il fallimento del mercatismo: l’illusione che abbattere le barriere alla libera circolazione delle merci sia sufficiente a migliorare la condizione umana ovunque nel pianeta. Ora che tale sogno scricchiola pure nelle nazioni più ricche, a cominciare dagli Stati Uniti, e che la speculazione finanziaria generata dalle grandi banche si ritorce contro di loro fino a richiedere l’intervento pubblico per salvarle, comincia a serpeggiare la paura. S’impoveriscono i salariati occidentali. I regimi detentori della ricchezza energetica ci ricattano. La Cina diventa non più solo territorio d’esportazione e di produzione a bassi costi, ma anche nostra minacciosa creditrice.
Come reagire? Il nuovo umanesimo predicato da Tremonti per sovvertire il primato dell’economico sulle nostre vite è la parte più deludente della sua analisi, fin qui inesorabile. Forse perché spunta il politico, costretto a un’impossibile quadratura del cerchio, in vista del suo prossimo incarico di ministro del’Economia.
Fatto sta che Tremonti se la prende con una Unione Europea colpevole di non essere diventata soggetto politico (dimenticando che quando stava al governo ha fatto di tutto per indebolirne le strutture comunitarie a vantaggio degli Stati-nazione). La vede solo come una “fortezza” assediata dalla forza egemone dell’Oriente. Innalza la diffidenza leghista nei confronti dell’immigrato a sistema: immaginando un futuro nel quale l’Europa serva per resistere all’Asia che altrimenti sottometterà noi e l’America. Parliamoci chiaro: se avesse ragione, il nostro futuro sarebbe una nuova terribile guerra mondiale. E per motivarci a combatterla, o a prevenirla, sostiene la necessità di una rinascita morale e spirituale. Che significa? Ben poca cosa, purtroppo.
Alla stregua degli atei devoti che –pur non credendo- vedono nella religione l’armatura con cui attrezzarci per respingere l’invasore, anche Tremonti finisce per consolarsi con la retorica delle radici: come sarebbe stato bello se l’Unione Europea avesse inserito le radici giudaico-cristiane nella sua Costituzione! “Senza radici non si sta in piedi”, proclama. Come se gli uomini fossero vegetali attaccati al terreno.
So che Tremonti si arrabbia con gli economisti liberali che lo accusano di riproporre solo il vecchio, fallimentare rimedio del protezionismo e dei dazi doganali alla crisi delle nostre economie. Ha ragione. Lui fa di più, e di peggio. Auspica un impossibile stop agli investimenti dei fondi sovrani di Cina, Russia, Emirati Arabi (ha presente come ne saremmo ripagati?). Ma soprattutto predica una rinascita simbolica fondata sul quadrante dei valori tradizionali: libertà, proprietà, autorità, responsabilità.
Qui la citazione di Sarkozy è evidente. Critica al Sessantotto che ha demolito il nostro senso di appartenenza, ci ha privati dell’anima. Per reagire, bisogna dare più potere ai governi, investirli di una legittimazione che ricorda i tempi delle monarchie. C’è spazio perfino per il rimpianto del romanticismo. Forse perché Tremonti è un idealista. O forse perché ci chiede solo di poter comandare in un tempo che sarà duro per tutti.

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