Campioni d’Italia

mercoledì, 21 maggio 2008

italia-inter-scudetto.jpgRiporto questo articolo uscito su Vanity Fair.

Non resistevo all’attesa, e così a metà dell’Atlantico ho strisciato la Visa nel telefono di bordo dell’airbus che mi portava in Perù. “Tranquillo, papà, sei campione d’Italia”, mi ha rassicurato il primogenito juventino che peraltro si era già riscattato dal ruolo di pecora bianconera della famiglia accompagnando Giacomino a far festa. In effetti, appena atterrato a Lima, sul Blackberry ho trovato la seguente mail: “Ciao papi, Inter campioneeeeeeeeee!!!! Come avevo previsto sullo 0 a 0, a inizio secondo tempo, entra Ibra e segna doppietta stupenda! Che decide scudetto Inter! Ho fatto strombazzamenti con Giuse in macchina, il Milan finito al sesto posto. Buon viaggio, saluta mamma”. Firmato: “gek and fratelli and sorelle! and J (il cane, ndr) and Palla di pelo (il topo, ndr)!”.
Il sudato, meritatissimo sedicesimo scudetto nerazzurro è venuto infine quando ormai eravamo ridotti a schiavi della scaramanzia.
Me ne vergogno, io nemico da sempre della superstizione. Ma provate a mettervi nei miei panni di padre: avevo portato Davide il 5 maggio 2001 all’Olimpico di Roma, e lì l’avevo visto piangere. Non pago, ho regalato a Giacomino la prima trasferta della sua vita a Villareal nell’aprile 2006. Al posto mio, avreste rischiato di portarli anche a Parma? E’ vero che nel frattempo abbiamo vinto due campionati e ci siamo tolti un sacco di soddisfazioni sconfiggendo a raffica il Milan. A tal punto che i nostri vicini di posto della Tribuna arancio di San Siro cui siamo abbonati da sempre, usano toccare il mio piccolo come un’amuleto (tanto più dopo che ha posato per Oliviero Toscani nella squadra multietnica dei bambini “Noi abbiamo cento anni”).
Chissà perchè l’Inter ci trascina nello scongiuro fino a comportamenti nei quali mai vorremmo riconoscerci.
Ripenso all’incubo della sconfitta nell’ultimo derby, con vittoria parallela della Roma a Marassi, e i tifosi rossoneri che all’uscita ci gridavano in coro: “Lo scudetto mettetevelo in…”. D’accordo che siamo buoni incassatori, ma fino a quando? Così ti ritrovi a mettere in fila i presagi negativi, come se non bastassero le gufate di mezza Italia. Il “non c’è due senza tre” dopo il 5 maggio e Villareal (ma forse avevo dimenticato il “tre” di quella volta a Torino che Luliano buttò giù in area Ronaldo e l’arbitro ci negò il rigore decisivo). E poi la statistica di quest’anno, l’Inter che non ha mai vinto nelle partite senza Cambiaos così come non ha mai vinto con l’arbitro designato a Parma.
Ce n’era abbastanza per salire su un aereo e traversare l’Atlantico nelle stesse ore decisive del campionato. Mi sono risparmiato cos’ il gol di Vucinic a Catania che regalava lo scudetto alla Roma fino alla mezzora del secondo tempo. Che ingiustizia sarebbe stata!.
E ora posso serenamente celebrare quel terzo scudetto di fila vinto non a tavolino, non con le avversarie dirette penalizzate, ma staccando le altre squadre partite alla pari con noi. Vinto soffrendo e attraversando l’oceano delle sfighe, nella confusione litigiosa dei Moratti e dei Manzini, dunque dolcissimo e incontestabile. Soprattutto da parte dei milanisti che già l’anno scorso ci invitavano a fare dello scudetto un uso irripetibile e che ora per giusta nemesi storica rotolano nella mediocrità del calcio europeo.
Mi piace pure che nei giorni vergognosi della caccia ai rom la vittoria nerazzurra, più Internazionale che mai, porti il nome di Zlatan Ibrahimovic, quello che gli avversari pensano di insultare scrivendogli “zingaro” sugli striscioni. Cosa dovremmo volere di più dal calcio? Ci sono voluti decenni, ma abbiamo rotto anche l’incantesimo della sfiga.

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