Anno zero

giovedì, 22 maggio 2008

travaglio-zero.jpgCome promesso ecco il secondo articolo su Marco Travaglio, anch’esso uscito su Vanity Fair.

Con il ritorno di Michele Santoro dal confino mediatico, ogni giovedì sera su Raidue la televisione ci narra una diversa idea di “popolo”. Non il “popolo-nazione” di certa retorica patriottica. Neppure il “popolo-religione” inventato dai nuovi predicatori atei. Il popolo di Santoro, infine, sebbene creatura generata in presa diretta dalle telecamere, si distanzia pure dal ritratto di “pubblico-consumatore”, individualista e sedentario, in cui il populismo mediatico deforma la nozione di cittadinanza.
Insomma può piacere o non piacere –di solito spacca a metà- ma “Anno zero” è un’operazione culturale incisiva, oltre che la rivincita tanto attesa dall’epurato. Lo so che gli avversari politici di Santoro hanno tentato di costruire una polemica sulla presunta modestia dei suoi ascolti, regolarmente doppi, tripli o quadrupli delle trasmissioni d’informazione con cui la Rai del centrodestra l’aveva sostituito la stessa sera alla stessa ora (non vi ricordate chi le conduceva? Appunto, evito di citarli apposta).
Che sia un giovane proletario di Rogoredo alle prese con i clan degli immigrati; o la capocamorra detenuta che riflette sulla barbarie napoletana in cui ha vissuto; o l’entreneuse che si vende nella notte romagnola finchè il fisico regge: il popolo di Santoro è per sua natura generoso di emozioni, impotente di fronte alle avversità, distantissimo dal potere. E’ il bene che incontra il male. Anche quando il male s’impossessa di lui, tra lacrime e tormenti, la telecamera saprà mostrarci l’ambiguità di quel bene residuo sopravvissuto in fondo agli occhi, che so, di uno spacciatore innamorato dei suoi figli non ancora rovinati…
Poi il racconto s’interrompe e dall’immedesimazione sentimentale con il popolo sofferente, di colpo, il copione di “Anno zero” ci trasferisce al sorriso imperturbabile di Marco Travaglio. Prolifico autore di libri di denuncia (in questa rubrica segnalai l’ottimo “Regime”, dedicato alle censure nell’informazione italiana), sulla carta Travaglio sembrerebbe essere l’opinionista perfetto per uno come Santoro: a lungo proibito sulla tv pubblica (lo ospitavamo in pochi negli anni berlusconiani), malvisto dalla sinistra moderata, scomodo e quindi amatissimo da un pubblico militante.
Dunque Travaglio sorride e sulle ginocchia gli intravediamo una serie di fogli che, quando comincia a parlare, assumono la sembianza di elenchi. Sì, elenchi di nomi. Elenchi di colpevoli. Il bene e il male tornano di colpo a separarsi. A lui il compito di denunciare il male senza inflessioni nella voce, perché il male è dappertutto la stessa cosa: nel rapinatore tornato a delinquere dopo l’indulto, nel clandestino che elude i controlli di polizia, nella detenzione di lusso riservata a Cesare Previti, perfino nelle quattro vittorie elettorali consecutive di Antonio Bassolino tra Napoli e la Campania da cui scaturirebbe un ventennio di regime.
Non c’è travaglio, in Travaglio. Il bene e il male non s’impastano più come accadeva nel racconto santoriano. Travaglio elenca e sorride, dà quasi l’idea di non conoscere il dolore del mondo, le cadute e le ricadute di noi comuni mortali, il mistero contraddittorio dell’animo umano, la complessità dei percorsi di espiazione. Tutti colpevoli allo stesso modo, tutti furbi, tutti impuniti.
Lo sdoganamento di Marco Travaglio era un portato prevedibile del cambio di stagione televisiva. Diverte notare che vi ha provveduto lo stesso direttore di Raidue cui nelle pagine di “Regime” è dedicato un ritratto di servilismo esilarante (Massimo Fini registrò il colloquio in cui questo signore gli spiegava perché era costretto a censurarlo). Meglio così, ormai Travaglio ha sacrosanto diritto di frequentare anche “Quelli che il calcio”.
Ma a me appare liscio, e in fondo inoffensivo, senza pathos, quanto invece Santoro è ruvido, scostante, arrabbiato. Mi viene allora da pensare che Marco Travaglio sia solo il contraltare di quell’indifferenza al tema della reputazione che lamentavo a proposito di Renato Farina la settimana scorsa. Travaglio è il contraltare di Elisabetta Gregoraci che fa gli spot pubblicitari grazie alla disavventura estiva. Travaglio è il contraltare di Luciano Moggi conteso opinionista di calcio. In una trasmissione perfetta, li vedremmo sedere affiancati. Tanto il dolore del mondo risiede altrove, mica in quella scatola tv. Non si lascia raccontare dagli elenchi di Travaglio.
E allora che il popolo torni spettatore!

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