Dedicato a chi brinda all’Irlanda

mercoledì, 18 giugno 2008

birra.jpgQuesto articolo è uscito su “Vanity fair”.Povera Europa, così fuori moda. Da cinquant’anni siamo abituati alla sua esistenza sfumata, come una musica di sottofondo. I giovani neppure ricordano che al confine tra un paese e l’altro dell’Ue una volta si passava solo col controllo passaporti, e l’import export delle merci richiedeva molte carte bollate. Trovano ovvio che Francia, Germania, Regno Unito siano nazioni amiche, come se non si fossero fatte la guerra per secoli fin oltre la metà del Novecento. Leggono volentieri giornali con il titolo in lingua straniera come questo, senza sentirsi per ciò antipatriottici. Perfino le gite scolastiche si fanno ormai nelle capitali altrui, non più mete esotiche.
E il campionato europeo di calcio? I campioni e i vicecampioni del mondo lo snobbano come torneo casalingo, da lasciar vincere a formazioni minori come l’Olanda. Totti e Nesta lo guardano in televisione. L’idea di uno scudetto europeo o di una Nazionale europea ci darebbe fastidio, come già ci infastidisce che il nostro principale cannoniere, Luca Toni, giochi in una squadra tedesca.
Lo sanno benissimo di non poter più vivere senza Europa anche gli smargiassi che brindano con birra irlandese. Felici del terzo referendum che, dopo Francia e Olanda, ripete “no” al Trattato con cui l’Unione dovrebbe dotarsi di una guida più snella, soprattutto in politica estera. Verrebbe voglia di dirgli: accomodatevi! Viva la disunità europea! Da domani per voi niente più moneta unica, visto che vi fa schifo l’euro (volete tornare alla lira? o preferite il fiorino padano? quale sarà meglio per pagare il gas russo e il petrolio saudita?). Ho letto il nuovo slogan del federalismo fiscale: “Teniamoci il 70% delle tasse”. Mica male. Purchè sia chiaro che, una volta disunita l’Europa, poi le quote latte per gli allevatori della bassa e i sussidi Ue per i risicoltori li fate scucire dalle vostre camicie verdi, magari raccogliendo l’obolo in giro durante qualche ronda notturna.
Sono un fottuto nazionalista europeo, lo ammetto. Quando l’ennesimo banale commentatore di turno lamenta l’euronoia, la distanza di Bruxelles dal popolo, e mi impartisce una lezioncina su quanto sarebbero più democratici gli Stati nazionali, mi viene solo da liquidarlo come un ingrato. Per me il passaporto italiano varrebbe la metà, pure sul piano sentimentale, se non lo sormontasse quella scritta preziosa “Unione Europea”. La nona sinfonia di Beethoven mi emoziona più dell’inno di Mameli. Adoro che ci siano svedesi come Ibrahimovic e che diventi italiano tra un mese Balotelli con la sua pelle scura. Così non ci romperete più le scatole che nell’Inter mancano calciatori tricolori. Anzi, se in Italia-Romania l’unico nerazzurro in campo si chiama Chivu, e gioca benone, io gli batto le mani.
Vedete? Posso permettermi anch’io di restringere l’orizzonte alla piccola patria (calcistica), ma solo grazie al fatto che vivo sotto l’ombrello protettivo della grande patria europea. Quella che il cittadino medio dà ormai per scontato che esista –da qualche parte, lontano- e dunque gli viene facile maltrattarla come forza estranea che ficca il naso nel nostro bilancio, parla una lingua incomprensibile, ci impone di trattare da concittadini (anziché da extracomunitari) degli immigrati provenienti da est solo perché c’è stato l’allargamento. Il cittadino medio maltratta l’Europa, insomma, come da sempre si maltratta il proprio Stato nazionale. Solo che nel frattempo quest’ultimo è stato esautorato –per fortuna, dico io, pensando che senza vincoli europei l’Italia sarebbe già alla bancarotta- da alcuni decisivi poteri di bilancio.
Naturalmente quando l’economia va male e i redditi s’impoveriscono l’Europa diventa un bersaglio di comodo anche se le cause sono altrove. Se poi ci sono politici abili nel rappresentare il malumore, magari fingendo di rimpiangere le radici identitarie d’altri tempi, il danno è presto fatto: perché non c’è dubbio che il politico nazionale ha perso potere nel mezzo secolo dell’Unione Europea, e per mantenersi in sella gli viene comodo sferrare qualche calcio a Bruxelles. Ora lo voglio vedere il compagno ministro Tremonti, a fare l’equilibrista tra la sua base antieuropea e la necessità di fronteggiare questione energetica, rincaro dei prezzi agricoli, regole del commercio e della finanza mondiale.

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