Il petrolio, Robin Hood e Don Chisciotte

mercoledì, 25 giugno 2008

raffineria.jpgQuesto articolo è uscito oggi su “Repubblica”.

La beffa è casuale ma istruttiva. Il compagno ministro Giulio Tremonti non ha fatto in tempo a additare i petrolieri italiani come ricconi meritevoli di una sanzione esemplare, con la Robin Hood tax, quand’ecco che la famiglia Garrone realizza una storica joint venture accogliendo in Sicilia il colosso russo Lukoil, stringendo un accordo formalmente alla pari se non si trattasse di un gruppo grande circa venti volte la loro Erg. Che si è peraltro tutelata stipulando un put a vendere ai russi il 100% della nuova società, se nei prossimi cinque anni lo ritenesse opportuno. Roba da fare impallidire il gettito della tassa tremontiana: nelle casse dell’azienda genovese affluiranno più di 1,3 miliardi di euro cash.
Ben più significative sono le conseguenze del contratto firmato ieri a Mosca: il più massiccio investimento di un gruppo russo in Italia, la prima volta della Lukoil in Europa occidentale, costringono la politica a misurarsi con una rivoluzione dell’approvvigionamento energetico che, sul libero mercato, sfugge inevitabilmente al suo stretto controllo.


Di fronte alla realtà, l’ideologia mostra il fiato corto. Dopo aver descritto la Gazprom come “la versione moderna della Compagnia delle Indie che riunisce in sé mercantilismo + imperialismo” (Tremonti), cosa dirà adesso il ministro no-global dello sbarco Lukoil in Sicilia? Il suo progetto di combattere “le forme nuove dell’imperialismo energetico che ispira i paesi produttori ed esportatori di petrolio e di gas”, si manifesterà pure in opposizione alla partnership con un colosso privato, oltre che nel velleitario divieto d’accesso ai fondi sovrani russi, cinesi e arabi?
Non credo, perchè in tal caso più che a Robin Hood dovremmo paragonarlo a Don Chisciotte. Il mercato spiazza la politica. Pare che la trattativa fra l’azienda genovese e Lukoil, durata circa un anno, si sia svolta al riparo da interferenze dei governi italiani, com’è giusto avvenga fra gruppi privati. Anche se riesce viceversa difficile credere che la controparte russa abbia agito all’insaputa di Vladimir Putin e Dimitri Medvedev. Era almeno un ventennio che non sopraggiungeva in Italia un investitore straniero a competere con la posizione dominante dell’Eni. Quest’ultima a sua volta ha inaugurato una collaborazione strategica con Gazprom, ma col sostegno della politica è riuscita finora a impedirne l’accesso al mercato interno. Ciò che rende ancora più rilevante la nuova, dispari integrazione Erg-Lukoil.
Mosca consolida la sua politica di potenza offrendosi nel vecchio continente quale alternativa energetica ai paesi arabi. Ma preferisce trattare da posizioni di forza con singole imprese e singoli governi: il suo scopo è scongiurare la temuta eventualità di una politica energetica comune dell’Unione Europea. Così una felice scelta di mercato rivela la debolezza politica degli Stati-nazione e l’impossibilità di un’”Europa fortezza”. Quel che è stato impedito ad Alitalia nel nome di un falso patriottismo e ricorrendo alle tasche dei contribuenti –la cessione a Air France- non si poteva certo vietare alla famiglia Garrone che pure opera in un settore altrettanto strategico della nostra economia. Per fortuna, al momento non si registrano appelli in difesa dell’italianità della Erg, e dubito che venga richiesto ad altre imprese tricolori di mettere mano al portafoglio per dare vita a una cordata anti-russa.
Certo, la partnership stipulata a Mosca prevede una gestione paritaria della nuova società e la Erg gode di un azionista robusto che oggi non ha nessuna intenzione di uscire dal business del petrolio. Anche se il contratto gli riserva la possibilità di cedere ai russi l’intera società. Ben diversa è la situazione prefallimentare di Alitalia. Ma non per questo possiamo sottovalutare le conseguenze dell’arrivo dei russi fra noi: la raffineria di Priolo rappresenta il cuore delle attività Erg e potrebbe anticipare, speriamo, un’alternativa virtuosa al fallimentare modello protezionistico tipico di un’economia decadente.
Quando l’escalation dei prezzi di gas e petrolio pesa gravemente sui consumatori e frena gli scambi internazionali, una risposta pacifica può venire solo dalla globalizzazione. La storia ci insegna che meno globalizzazione equivale a più guerre e più povertà. La nuova superpotenza russa ci minaccia di meno se viene integrata nella nostra economia che se tentiamo di bloccare i suoi investimenti.
Quanto ai petrolieri nostrani: ieri abbiamo avuto la conferma che la liberalizzazione del mercato e la fine dei privilegi corporativi funzionano molto di più, a vantaggio dei consumatori, che una punizione simbolica. Magari giustificata per l’eccessiva generosità di un petroliere tifoso nei confronti di Mourinho.

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