Il Libano e il culto dei morti

giovedì, 17 luglio 2008

hassan-nasrallah-4.jpgQuesto articolo e’ uscito su “Repubblica”.

BEIRUT- L’apoteosi di Nasrallah, comparso per pochi minuti sul palco dello stadio Saiyeh di fianco ai cinque prigionieri rilasciati da Israele, viene contenuta in una breve dichiarazione solenne ma cauta:
“Il tempo delle sconfitte e’ passato, d’ora in poi ci saranno solo vittorie”. Tanto basta a mandare in delirio la folla di una Beirut sciita che ancora reca i segni dei bombardamenti. Ma e’ il Libano tutto che ama inebriarsi. Stasera riversa il suo tradizionale complesso di superiorita’ nella celebrazione di un dubbio successo militare. Con la
stessa cupa energia che si esprime nella ripresa di una mondanita’ sfrenata, dopo il biennio di quaresima bellica.
Ho disertato la macabra cerimonia di Nakoura viaggiando per tutta la mattina lungo la frontiera con Israele in compagnia dei bersaglieri della Brigata Garibaldi, comandati dal generale Enzo Iannucelli. Il martellante trionfalismo degli Hezbollah che hanno pavesato l’intero paese di striscioni (“La liberta’ garantita da Nasrallah, l’umiliazione garantita a Olmert”), si giustifica in effetti con una banale considerazione: con loro Israele ha trattato lo scambio dei prigionieri, non con il governo libanese.
Questo e’ un male: segno della fragilita’ dello Stato dei cedri. Ma e’ anche un bene: grazie alla tregua garantita dall’Unifil i due nemici si parlano, lanciano segnali, realizzano accordi.
Tra i nostri serpeggia un certo rammarico: e’ il generale Claudio Graziano lo stratega dell’interposizione sul campo, che gli costa talvolta accuse irresponsabili di “eccesso pacifista”. Pero’ il merito della svolta diplomatica in
atto, che ha disinnescato il pericolo di una nuova guerra civile e rimesso in gioco la Siria, se lo intesta Sarkozy. La diplomazia fa buon viso a cattivo gioco: senza Hezbollah non c’e’ governo, senza Siria non c’e’ Libano.
Facevano in effetti tenerezza i soldati dell’esercito regolare messi in prima fila al passaggio dei prigionieri, per
salvare la forma, sommersi com’erano dalle divise gialle degli Hezbollah. Ma venerdi’ scorso perfino le cancellerie occidentali piu’ oltranziste nel definire terrorista e intrattabile il movimento sciita, hanno dichiarato sollievo per la formazione di un governo che non solo lo include ma gli assegna il diritto di veto. Una stabilita’ che non
dispiace neppure a Israele, come suggerisce la sua dolorosa concessione odierna: liberare, sia pure dopo quasi trent’anni, quel Samir Kuntar macchiatosi di atrocita’ contro civili innocenti, e regalargli un palcoscenico da eroe della resistenza.
La mediorientale guerra dei cent’anni esaspera sentimenti contrapposti (nessun giornale libanese oggi citava la bambina di 4 anni massacrata da Kuntar a Nahariya nel 1979) ma nei momenti cruciali il calcolo puo’ riunire i nemici. E questo e’ un momento cruciale, col mondo impaurito dal caro-petrolio e dai presagi di guerra all’Iran che spera in una svolta.
Se davvero la nomina di un ambasciatore siriano mitighera’ la storica, irrinunciabile vocazione al protettorato su Beirut. E se il futuro presidente Usa favorira’ negoziati di pace fra Damasco e Gerusalemme. Ancora: se Hezbollah accettasse di consolidare la sua forza dentro lo Stato libanese, integrando le milizie nell’esercito… Tanti esili “se” per i quali resta sempre un prezzo da pagare. Qui le vittime da tutti designate (e percio’ temute) restano i 500 mila palestinesi rinchiusi nei campi, brulicanti di nuove schegge di terrorismo sunnita il cui
modello e’ Al-Qaeda. Ma la verita’ e’ che nel grande gioco mediorientale oltre ai siriani pure i sauditi e l’Iran contemplano una sovranita’ limitata per il Libano.
Domenica scorsa nel suo palazzo della Moukhtara il principe socialista dei drusi, Walid Joumblatt, mostrandomi la sua notevole collezione di quadri sovietici, deprecava la capitolazione di Parigi ai piedi del regime di Assad. Ma intanto pure lui entra nel governo d’unita’ nazionale con gli odiati Hezbollah.
Altrettanto drammatica la profezia del piu’ grande scrittore libanese, Elias Khuri, malinconico compagno di intellettuali come Kassir e Tueni, fatti saltare per aria dagli stessi sicari che assassinarono Rafic Hariri, il padre del Libano contemporaneo. Khuri enuncia una profezia catastrofica: “Quando in autunno gli Usa o Israele attaccheranno i reattori nucleari iraniani, non c’e’ dubbio che Hezbollah scatenera’ una controffensiva missilistica sullo Stato ebraico e il Libano si trasformera’ in un campo di battaglia, vittima come sempre di forze straniere”.
Scommettere sulla possibilita’ che il movimento sciita mantenga un esile filo di autonomia (“Macche’, quelli sono solo una brigata militare integrata nell’esercito di Teheran”), o addirittura che la Siria tagli i rifornimenti ai guerriglieri, pare solo una vilta’ agli orfani della primavera 2005.
Viviamo cosi’ un’assurda notte d’euforia e di proclami bellicosi, cui non si sottrae neppure il presidente Michel Sleiman proclamando una giornata di festa nazionale.
Si esulta non solo intorno ai cinque prigionieri rilasciati vivi, senza distinguere fra eroi e criminali. Le 199 bare portate in trionfo tra lanci di riso e petali di rose moltiplicano l’orrendo culto del corpo dei martiri, macabro ma contagioso e inebriante. Neppure fuori dalla periferia sciita di Beirut, nella societa’ piu’ laica e spregiudicata
della regione, e’ concesso derogare a tale liturgia necrofila, morbosa.
Perfino il test del Dna preteso da Israele sui cadaveri di Ehud Goldwasser e Eldad Regev sollecita questo generalizzato indugiare fra membra decomposte e ritratti dei martiri, appiccicati dovunque, trasformati in icone, santificati. Volti barbuti e visi di ragazzini, moltiplicati e ricomposti in un collage ossessivo che ispira anche una
segnaletica delle alleanze. Nel campo palestinese di Chatila, per esempio, ormai i ritratti dei fondatori di Hamas e dello stesso Arafat vengono affiancati a Nasrallah e a Imad Moghniye, il capo militare di Hezbollah ucciso nel febbraio scorso a Damasco. Non importa piu’ che gli uni siano sunniti e gli altri sciiti, cosi’ come non importano i
massacri e le guerre combattute nel passato fra di loro.
Nel bel romanzo dedicato ai palestinesi da Elias Khuri (“La porta del sole”, Einaudi) il protagonista, un militante imboscato, esprime la sua nausea per tutta questa inflazione dei martiri. Lo prenderebbero per un bestemmiatore, in questa notte afosa di clacson e sparatorie di festeggiamento, gli stessi ragazzi che vanno a ballare in discoteche costruite sopra le fosse comuni della guerra civile. Quasi che la fragile unita’ nazionale del nuovo governo Seniora non potesse fare a meno di questo cemento impastato di sangue.

I commenti sono chiusi.

I commenti di questo blog sono sotto monitoraggio delle Autorità. Ti preghiamo di mantenere i toni della discussione entro i limiti di buona educazione e netiquette in essere come regole del blog. Inoltre usa con moderazione i seguenti comandi di formattazione testo.