Mediobanca e il passo del gambero

martedì, 26 agosto 2008

geronzi.jpgQuesto articolo è uscito su “Vanity fair”.
A che cosa serve Mediobanca? Se lo aveste chiesto al suo fondatore Enrico Cuccia, morto ultranovantenne nel 2000, probabilmente vi avrebbe risposto: “L’economia italiana ha bisogno di Mediobanca per dare una regia ai capitalisti del Nord, privi come sono di una visione che vada al di là del proprio naso”. (NB. Questa frase è rigorosamente inventata perché Cuccia non ha mai parlato in pubblico. La desumo dalle rare confidenze che i suoi amici hanno lasciato filtrare)
Nel frattempo è successo che siano divenute grandi, molto più grandi, altre banche private, in grado di decidere da sole quali aziende salvare e a chi prestare il denaro. In un’economia debole le banche contano più delle industrie e certi banchieri contano più dei ministri. E allora, a che cosa serve ancora Mediobanca? Perché intorno alla prestigiosa, ma tutto sommato piccola, banca d’affari milanese si sta giocando una partita di potere che –statene certi- avrà sul futuro dell’Italia effetti più importanti di una legge finanziaria?
Temo che, esattamente come a metà del secolo scorso, stia prevalendo fra chi detiene le redini della nostra economia l’idea che “troppo libero mercato” faccia male all’Italia, dunque ci vuole qualcuno a guidarlo dall’alto.
Non occorre essere intenditori di alta finanza per decifrare il “flirt” in corso fra il superministro valtellinese Giulio Tremonti e il superbanchiere romano Cesare Geronzi. Quest’ultimo sta tentando di interpretare a modo suo le direttive della Banca d’Italia, contraria all’architettura barocca del “modello duale”, cioè un vertice di Mediobanca oggi scisso fra due diversi organismi dirigenti: il Consiglio di sorveglianza in cui decidono gli azionisti e il Consiglio di gestione in cui decidono i manager. Vale la pena di notare che un simile “modello duale” vige pure in Intesa Sanpaolo, cioè il grande istituto di credito che Giovanni Bazoli concepisce come “Banca per il paese”, non solo per il mercato, e che non a caso tende ad assumersi l’onere “politico” di salvataggi come Telecom e Alitalia. Non dirò che Geronzi e Bazoli siano personalità simili –culturalmente restano agli antipodi- ma pare avvicinarli la medesima concezione del potere. Suffragata, per l’appunto, dall’idea che l’Italia non possa permettersi “troppo libero mercato”, e dunque tra le banche di Milano e i ministeri di Roma ci voglia qualcuno a guidarlo dall’alto.
In pratica Geronzi sta cercando di assumere i pieni poteri dentro Mediobanca, replicando nel 2008 la funzione di Enrico Cuccia. Come? Attraverso la costituzione di un cda in cui gli azionisti rafforzino la sua supremazia nei confronti del management. L’ ambizione di Geronzi non dispiace a Tremonti per ovvie ragioni: in tempi di crisi il governo preferisce contrattare con un “banchiere politico” le aziende da sostenere o ristrutturare, nonché la fisionomia dell’establishment.
Tale disegno pare condiviso, per calcolo realistico, dagli azionisti francesi di Mediobanca e dai tradizionali esponenti del salotto buono: Ligresti, Tronchetti Provera, Benetton, con l’aggiunta non casuale di Ennio Doris, socio di Berlusconi. Ma incontra un ostacolo. L’Unicredit, cioè il singolo azionista più cospicuo di Mediobanca, non può dimenticare di esserne soprattutto un naturale concorrente. Alla domanda da cui siamo partiti –a cosa serve Mediobanca?- Alessandro Profumo risponderebbe volentieri: a niente! E ne sarebbe già uscito, se non temesse con ciò di consegnare gratis il controllo delle Generali a un cartello di banche rivali.
Non ho la più pallida idea di quale esito possa avere il braccio di ferro su Mediobanca. Da una parte sembra che il potere italiano non riesca, non possa fare senza la figura-chiave del “banchiere politico” –poco importa se già condannato e rinviato a giudizio in crack che hanno recato danno a risparmiatori e azionisti. La dinamica dell’establishment spinge all’incoronazione di un nuovo Cuccia risciacquato e ammorbidito dalle buone frequentazioni con i giornali, i partiti e le lobby capitoline. Pazienza se non ha un pedigree di successi aziendali: i manager di Mediobanca si rassegnino. Ma se è davvero questa la Mediobanca che serve all’economia italiana, vuol dire che siamo destinati a crescere col passo del gambero.

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