Pagheremo di più, voleremo peggio

mercoledì, 17 settembre 2008

Questo articolo è uscito su “Vanity Fair”.

Con il senno di poi, dubito che Berlusconi impedirebbe di nuovo la vendita di Alitalia a Air France accampando ragioni patriottiche, come fece durante l’agonia del governo Prodi.
Questa è una grana che gli può dare fastidio sul serio, non solo oggi ma nei prossimi anni, perché l’errore di tenere artificialmente in vita con i soldi pubblici una compagnia aerea tecnicamente fallita moltiplica le insidie e richiama i profittatori.
Lo si è visto al tavolo della trattativa sindacale. Piloti e assistenti di volo che da decenni approfittano della “protezione” politica di cui gode Alitalia per strapparle trattamenti di favore –tanto non fallisce mai, c’è sempre chi la rifinanzia- hanno intuito che stavolta i beneficiati sono altri: la cordata degli imprenditori cui viene consegnata una compagnia senza debiti, piccola ma esente da concorrenza sul mercato domestico. Come, si sono detti i sindacati autonomi: Berlusconi pur di tenere in vita Alitalia spalma più di un miliardo di debito sul bilancio statale, offre a Colaninno e soci un business che li ripagherà dell’investimento in pochi anni, e noi? Perché non dovremmo restare membri della compagnia e continuare a spartirci una quota dei vantaggi che il governo è disposto a concedere? Sto parlando di lavoratori che rischiano di perdere il posto e meritano il nostro rispetto: demonizzarli come massa di privilegiati è un vizio ideologico del giornalismo asservito al potere. Ma ormai è evidente che tra i debiti scaricati sul contribuente, i vantaggi competitivi elargiti alla cordata degli imprenditori, e le concessioni occupazionali richieste dai sindacati, saranno i viaggiatori e i contribuenti a fare un pessimo affare.
Purtroppo è facile pronosticare che voleremo peggio, pagando più cari i biglietti. E continueremo a prendere aerei Alitalia non per scelta, ma solo grazie alla deroga delle norme antitrust per cui la compagnia godrà di un monopolio di fatto sulle rotte nazionali.
Emergerà presto che l’errore dei salvatori di Alitalia stava nel manico, cioè nella premessa del loro ragionamento, su cui è mancato un sereno dibattito pubblico. Perché mai una compagnia aerea nazionale dovrebbe essere considerata tra le infrastrutture strategiche, come la rete energetica o di telecomunicazioni? Qualcuno risponde: perché siamo un paese a vocazione turistica; o perché le nostre imprese hanno bisogno di rapidi collegamenti esteri. Come se queste esigenze non potessero venir tutelate, meglio di quanto non accada oggi, da vettori multinazionali interessati a capitalizzare le potenzialità del nostro territorio, senza calcoli politici e clientelari.
Siamo davvero ancora così provinciali da temere un pericolo di colonialismo? Ma da parte di chi? Vi sentite colonizzati voi che state leggendo un giornale che ha l’editore americano, o invece pensate che la sua presenza sul mercato possa contribuire allo svecchiamento della concorrenza italiana?
La difesa dell’italianità delle nostre imprese è solo pessima retorica politica, che la si predichi da destra o da sinistra. Quella sull’italianità è una tassa invisibile che tutti i cittadini sono costretti a pagare. Fa male a un paese che certo deve preservare alcune infrastrutture strategiche ma che intanto rischia di soffocare a causa dei suoi troppi, piccoli monopoli domestici. Quando Berlusconi ha impugnato la bandiera dell’Alitalia agli italiani, non credo l’abbia fatto solo per fiuto di marketing politico. E’ la sua cultura d’impresa che lo ha guidato: la vicenda di Mediaset in fondo può venir letta come edificazione di un network privato che occupa per intero il campo della tv commerciale, anche grazie a protezioni dall’alto. L’azienda funziona, genera profitti, anche se non è riuscita a impedire che Murdoch venisse ad occupare lo spazio precluso con l’aiuto della legge ai competitori italiani.
Temo che la piccola Alitalia fusa con Airone conoscerà vita più breve di quella di Mediaset. Il suo destino è la confluenza in un gruppo multinazionale, non appena dissolto il fumo retorico dell’italianità. Nel frattempo pagheremo caro e viaggeremo peggio. Il contribuente e il consumatore mica siedono al tavolo della trattativa.

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