La grande depressione

martedì, 30 settembre 2008

Questo articolo è uscito su “Vanity Fair”.

Quando un ministro dell’Economia adopera un linguaggio medievale – evocando la speculazione come “peste contemporanea”, o predicando la necessità di nuove regole calate dall’alto “come sul Sinai”- i cittadini sono indotti a spaventarsi per davvero.
Il maremoto finanziario che sconvolge l’economia americana sta raggiungendo solo ora le coste europee, e già fra gli avvoltoi che volteggiano sulle nostre teste riconosciamo i soliti inaffondabili protagonisti arricchitisi nella stagione precedente.
Il succitato ministro è il nostro Tremonti, che ha detto molto e combinato poco nei suoi anni (in totale credo siano ormai 6) al vertice della politica economica. Ma fa molta più impressione osservare il segretario al Tesoro statunitense, Henry Paulson, quello che s’inginocchia di fronte alla speaker Nancy Pelosi scongiurandola di approvare subito il maxi-piano di “socialismo bancario” a carico del contribuente: non si tratta del medesimo Henry Paulson che fino a un anno fa incassava profitti al vertice della banca d’affari Goldman Sachs?
Vi invito a diffidare di questi liberisti folgorati dal crac della loro creatura, riciclati in fretta e furia sulla via delle nazionalizzazioni (quando da socializzare ci sono perdite, non certo guadagni). Esattamente come vi invito a diffidare di chi si proclama difensore dei poveri, seduto nel governo dell’uomo più ricco d’Italia.
Resta il fatto che la crisi c’è, eccome. Peggiorerà il nostro tenore di vita più di quanto già non l’abbia fatto. E dovremo considerarci fortunati se il prossimo 4 novembre gli elettori Usa non sceglieranno, per contrastare l’inevitabile declino della loro economia, un presidente disposto alla scorciatoia della guerra. Nel frattempo ci tocca sopportare –oltre a un complessivo impoverimento- anche la metamorfosi degli ex liberali, pardon, col culo nel burro. Quelli che scoprono solo ora i danni delle eccessive disuguaglianze sociali, dopo averne goduto personalmente i vantaggi.
Dovremo sopportarli, dicevo, non solo perché al governo ci sono loro. Ma anche perché il sostegno pubblico alla finanza indebitata, per quanto spiacevole, è una necessità oggettiva. Lo ha spiegato bene il liberista “non pentito” Francesco Giavazzi: la finanza e tutta la barocca architettura che consente di ottenere denaro in anticipo sui propri guadagni, è necessità imprescindibile di un’economia aperta. E sono i bassi redditi a necessitarne prima e più dei ricconi. A me Giavazzi pare poi troppo ottimista quando garantisce che –bruciati i residui delle sue malefatte- la locomotiva americana si rimetterà a correre più veloce di prima. Temo, a differenza di lui, che di mezzo possano esserci conflitti sanguinosi e un passo indietro della nostra libertà. Ma intanto allacciamoci le cinture di sicurezza e prepariamoci a una stagione di salvataggi statali, confronto ai quali l’accordo Alitalia (quasi 3 miliardi di euro a carico nostro) ci sembrerà una bazzecola.
Negli Usa che approvano il Tarp (piano di salvataggio finanziario) da 700 miliardi di dollari, ci si chiede se basteranno, non se siano troppi. I deputati hanno paura di non essere rieletti e pretenderanno da Bush qualche misura di contenimento sulle scandalose megaliquidazioni dei banchieri che fino a ieri li finanziavano, ma alla fine voteranno sì al “socialismo bancario”. Lo stesso tocca ai duellanti presidenziali. Più coerente Barack Obama, da sempre sostenitore di un intervento pubblico nell’economia, fino a sostenere le discutibili richieste protezionistiche dei sindacati. Più in imbarazzo John Mc Cain, fino a ieri liberista classico. Li accomuna un’esigenza propagandistica: assicurare una distanza siderale fra la loro futura Casa Bianca e Wall Street. Ed è probabile che in tale rincorsa populista, contro l’”ingordigia degli speculatori”, prevalga Obama su Mc Cain. Il che non toglie che si tratti di demagogia: l’economia globale di un pianeta pacifico avrà bisogno sempre di più banchieri, mutui, derivati. L’alternativa sarebbe tragica. E ha fatto bene il rettore dell’Università Bocconi, Guido Tabellini, a ricordare sul “Sole 24 Ore” che è stata una politica catturata da lobbies e interessi particolari a favorire il lassismo nei controlli sui titoli spazzatura.
A fingersi Robin Hood sarà forse più bravo un senatore ex avvocato dei poveri che un ministro ex fiscalista dei ricchi, ma la menzogna resta la medesima.

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