Italia di destra e tifosi del Duce

lunedì, 13 ottobre 2008

Questo articolo è uscito su “Repubblica”.
Nei libri di storia mondiale del Novecento l’unico italiano sempre citato è Benito Mussolini. Godiamo la poco invidiabile fama di inventori del totalitarismo fascista. E’ un facile cortocircuito mediatico, dunque, quello architettato con sapienza organizzativa dal movimento di estrema destra Forza nuova, tramite la sigla “Ultras Italia”: rilanciare sul palcoscenico internazionale, attraverso le bandiere con la croce celtica e gli inni al Duce, la caricatura di un passato che non passa.
Basta un esiguo manipolo di violenti per propagare un messaggio di semplificazione brutale dell’identità. Lo spettacolo del professionismo sportivo, reso dai suoi campioni ormai definitivamente meticcio, come la finanza globale, si presta così a paradossali manipolazioni ideologiche. Nel football cosmopolita possono essere straniere le proprietà miliardarie, e lo sono quasi sempre i beniamini del pubblico. Ma non per questo le tifoserie rinunciano al campanilismo esasperato, e già da qualche anno l’estrema destra si cimenta nel tentativo di alimentare intorno alla Nazionale campione del mondo un patriottismo di stampo xenofobo. Nel 2005, a Palermo, toccò ai tifosi sloveni di essere aggrediti da “Ultras Italia” al grido demenziale di “Tito boia”.
Sbaglieremmo a liquidarlo come un fenomeno nostalgico, e non solo per la modernità dei veicoli di cui si avvale. Chi abusa del tricolore e accompagna col saluto romano il canto dell’inno nazionale, ha intuito il varco offertogli da una vera e propria campagna culturale scatenata per sminuire i valori costituzionali della Repubblica nata dalla Resistenza. Nessuno degnerebbe d’attenzione le folcloristiche dichiarazioni filofasciste del portiere del Milan, Filippo Abbiati, se l’equazione fascismo-patriottismo non trovasse ben più autorevoli propugnatori.
Ieri il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, è stato il primo a condannare la scorribanda nera di Sofia. Ma l’8 settembre scorso fu lui a esaltare l’eroismo dei repubblichini che combattevano le truppe anglo-americane nel 1943. Mentre il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, s’impigliava in un giudizio benevolo del regime mussoliniano fino al 1938.
Sia ben chiaro, l’Italia del 2008 non corre il pericolo di un ritorno al fascismo, e il nuovo capo della nazione non somiglia al vecchio neppure quando arringa la folla con la camicia nera. Ma sarebbe ingenuo spiegare il revisionismo storico propugnato da molti esponenti della destra come mera autoassoluzione della loro militanza giovanile.
Sono navigatori con il vento in poppa. E’ l’istinto politico che li sospinge a mettersi in sintonia con delle pulsioni largamente diffuse nel loro elettorato: l’esaltazione del patriottismo come necessità prevalente sull’osservanza delle regole democratiche; la difesa dell’italianità dal pericolo di contaminazione identitaria; il bisogno d’autorità.
Il neofascismo da stadio è una traduzione artificiale, simbolicamente trasgressiva, di questa rinascita del pensiero reazionario. Politicamente mette in imbarazzo il governo di destra, proprio come lo imbarazzano certe intemperanze razziste dei vari Borghezio e Gentilini. Eppure vengono tollerati perchè si tratta di messaggi funzionali a rappresentare sentimenti comunitari, il mito di un Popolo che si riscopre unito “contro” le insidie esterne. Anche allo stadio, intorno ai suoi campioni nazionali, così come sul territorio “invaso” dagli stranieri, e oggi magari contro i plutocrati dell’economia globale.
Quanto sia pericoloso legittimare l’ostilità contro il meticcio che inquina la purezza della nazione, lo ha scoperto negli Usa il candidato repubblicano John McCain che ha scelto coraggiosamente di sfidare l’impopolarità pur di condannare le intemperanze verbali scagliate dai suoi sostenitori all’indirizzo di Barack Obama. Nulla di simile in Italia. Con la lodevole eccezione di Gianfranco Fini, la destra sembra preoccupata solo di minimizzare i segnali crescenti d’intolleranza.
Col bel risultato di rappresentare sulla scena internazionale un’Italia infastidita dalle critiche europee e vaticane per la sua politica anti-immigrati. Che liquida come obsoleta, catto-comunista, la sua Costituzione, in virtù del successo elettorale conseguito dalle componenti nazionaliste e xenofobe della destra.
In questo clima culturale, l’esaltazione del fascismo tollerata da anni negli stadi di calcio pare quasi una ciliegina sulla torta. Brutto scherzo, ma c’era da aspettarselo.

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