Mamma mia, le donne che passione!

mercoledì, 22 ottobre 2008

Questo articolo è uscito su “Vanity Fair”.

Rubo il mestiere a chi di cinema ne capisce più di me, come Daria Bignardi, per comunicarvi l’entusiasmo provato da un maschio guardone grazie a un film come “Mamma mia” di Phyllida Lloyd, ovvero: la vita, i sensi, i sentimenti, il desiderio, l’amore, declinati al femminile. Di più, la potenza del femminile che ridimensiona il maschio a funzione accessoria e per ciò stesso lo delizia, quel maschio guardone.
Esagero, per un filmetto che dà allegria con la musica kitsch degli anni Ottanta? Me lo spiegano le recensioni di critici illustri, che concedono benevolenza pelosa al musical dell’anno, ballato e cantato così così, solo perchè impreziosito dal carisma di Meryl Streep.
Ma io mica sono un cinefilo, io sono un guardone. Sono un uomo curioso di scrutare le donne nell’intimo delle loro dinamiche, per avvicinarmi al mistero dell’incanto che suscitano in me. Per fugare equivoci, sono andato a vedere “Mamma mia” con moglie e figli di varia età, non in un branco di maniaci. Fin da quelle prime scene manierate e smorfiose in cui Sophie (la figlia, Amanda Seyfried) abbraccia le amiche e ululando confida loro i segreti sul padre che non ha mai conosciuto; e Donna (la madre, Meryl Streep) abbraccia le amiche e strepitando s’immalinconiscono nel rifiuto di una maturità asessuata…ho visto scattare accanto a me formidabili meccanismi di identificazione.
Quegli ululati, quegli strepiti di complicità femminile! Quella sintonia nel gineceo della cucina con altre donne vestite di nero, per noi maschi solo un fondale e invece pronte a capirsi al volo! Le imperfezioni che sanno rendere i corpi davvero sexi, e perfino il disastro del lifting che non riesce a deprimere la capacità seduttiva di Tanya!
Io le conosco tutte, per ciascuna delle protagoniste vorrei indicarvi l’alter ego presente nella nostra vita, cioè le amiche con cui davvero la mia, la vostra Donna potrebbe sul serio dimenarsi sul letto al canto di “Dancing Queen”. L’amica procace e l’amica zia, avete presente? E poi quella dinamica di scontro e riconoscimento tra madre e figlia che fa giustamente versare lacrime sdolcinate all’Umberta nella scena di vestizione nuziale, mentre declamano il peggio del peggio (“Slipping through my fingers”). Perché è stragiusto che sia Donna la madre, a accompagnare Sophie la figlia all’altare. Dovrebbe succedere così in ogni chiesa. Così com’è sano il desiderio che m’è preso fin dall’inizio di NON sapere qual è il padre genetico fra i tre bellimbusti con cui Donna ha vissuto l’amore un’estate di vent’anni prima.
Qui difatti subentriamo noi maschi, elemento accessorio nella trama di “Mamma mia”. Non siamo poi così malaccio, ridimensionati dallo sguardo femminile. Certo dobbiamo accettare come rappresentante dell’icona virile uno 007 qualunque, Pierce Brosnan, poco più di un involucro, non a caso l’unico personaggio del film con la muscolatura in regola con i canoni ufficiali della bellezza (le ragazzine, dovete ammetterlo, nella loro perfezione inconsapevole risultano per forza meno affascinanti delle tardone). Per risvegliare i sensi e riempire il vuoto del distacco dalla figlia, Donna Meryl Streep si accontenterà di prendere lui nel suo letto e nel suo albergo che, guarda caso, si chiama “Villa Donna”. Questo ci consola perché ci conferma di essere indispensabili all’energia femminile che altrimenti si arena nell’impotenza.
La femmina che si lascia scrutare e si apre, non solo nel profondo della sua corporeità, ma pure nella sua diversissima confidenza al mondo, è gratificazione preziosa al maschio.
Ricordo di avere provato una curiosità e un piacere simili l’anno scorso guardando “Caramel”, il film libanese di Nadine Labaki ambientato tra i segreti di un salone di bellezza. Segreti penetrabili solo da un uomo che sappia mettersi in ascolto.
Succede di rado nella cultura pop-televisiva italiana che alle donne sia consentito di mostrarci qualcosa in più della forma. Forse è questo deficit che mi ha reso così affamato e guardone, fino a provare felicità, lì nel cinema, mentre trasferivo dentro la mia vita quelle donne che ballano coi tacchi sul pontile di un’isola greca, indossano pantaloni a zampa d’elefante ma alla fine, esauste, si buttano e desiderano che noi le raccogliamo al volo.

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