Obama, sei un vero figo! (2)

mercoledì, 5 novembre 2008

La democrazia cambia pelle e, vedrete, l’effetto si sentirà anche fuori dall’America. Prima ancora di avere udito lo storico, meraviglioso discorso di Chicago. Prima di salutare nel presidente Obama il più autorevole tra i bastardi del nuovo mondo…ho scritto queste riflessioni, valide a maggior ragione dopo la notte del trionfo democratico, per “Vanity Fair”.

Nell’autunno dell’anno 2008 si è verificata in tutti noi la seconda riscoperta dell’America.
Un’America che nel bene e nel male anticipa di una generazione quel che ne sarà della nostra vita, e questo già lo sapevamo, ma che stavolta ci ha fatti sentire parte in causa delle sue passioni, delle sue paure, perfino dei suoi segreti inconfessabili. Forse non era mai provato prima un simile desiderio di partecipare al voto di un paese straniero. Metà per la speranza di cambiamento mondiale, metà per il gusto d’infilarci nella trama di un film surreale al cui lieto fine teniamo moltissimo.
Barack Hussein Obama Jr. da uomo s’è trasformato così, nel giro di pochi mesi, in icona del tempo contemporaneo. Poco importa che l’anno scorso i più ne ignorassero l’esistenza, e nessun sondaggio lo desse vincente. Lui è oltre, un prototipo del futuro. Una formidabile invenzione americana che può dare respiro all’impero declinante in quanto la sua figura ne scavalca i confini. Paradossalmente, è il meno “etnico” dei candidati, specie se paragonato a Sarah Palin, cioè alla caricatura dell’”America profonda” di cui Obama ha infranto il monopolio sui valori religiosi. Scegliendola come sua vice, John McCain s’è vincolato al “fattore-razza” che il rivale invece mandava in frantumi.
Chi si occupa di moda, cinema, letteratura, sport già da tempo è abituato a incrociare le razze. Mescola il colore della pelle fino alla perfezione caffelatte dei nostri beniamini. Racconta le famiglie policromatiche del jet set. Vende il pop-rock di Mtv in lingua araba o cinese. Segue Hollywood quando emigra in India per diventare Bollywood. Intuisce il Congo come una catastrofe che ci riguarda troppo da vicino per girare la testa altrove. Basta sfogliare la raccolta di questo giornale per farsi un’idea dell’America trascinata, magari controvoglia, al cosmopolitismo dalla sua stessa natura meticcia per cui diventa sempre più difficile separare l’estero dalla provincia, lo straniero domestico dalla proiezione esterna.
Le elezioni presidenziali Usa hanno richiamato un’affluenza alle urne straordinaria, recuperando una partecipazione democratica di giovani e ceti marginali che pareva ormai irraggiungibile. Reduce da una sconfitta militare in Iraq (se non due, viste le difficoltà in Afghanistan e in Pakistan); messa in ginocchio da una crisi finanziaria che toglie casa e lavoro a un gran numero di persone; l’America fa i conti con le ingiustizie del suo modello economico e con una mole di debiti che ridimensiona la sua potenza nel teatro internazionale. Ma ecco Obama che rilancia la sfida sul terreno dove ancora gli Usa primeggiano: la capacità di selezionare nuove leadership, in grado di farsi avanti grazie al loro talento anche se figlie di nessuno. McCain viceversa impersona la resistenza di chi sa di essere ancora il più forte, devoto al libero mercato pure quando cade in disgrazia.
So bene che Obama presidente non cambierà di molto i termini della politica estera americana, e perseguirà gli interessi Usa con tenacia proporzionale alle diffidenze suscitate dalla sua elezione. Fino alla guerra, se necessario. Ma così dirompente è la novità antropologica da lui rappresentata, da favorire di per sé relazioni internazionali meno polarizzate.
Credo si capisca, giunti a questo punto, perché considero l’elezione di Obama alla Casa Bianca una specie di sogno troppo bello per essere vero, in controtendenza rispetto alle spinte di separazione etnica e identitaria che vanno per la maggiore al giorno d’oggi. Temo per la sua vita, perché essa smentisce i predicatori del conflitto di civiltà. Propone all’America di salvarsi riunendo in un solo popolo gli eredi dei Padri fondatori anglo-sassoni e gli eredi degli schiavi. La nuova razza-Obama. Impossibile?

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