Con Obama a lezione di educazione civica

mercoledì, 12 novembre 2008

Questo articolo è uscito su “Vanity Fair”.
Assumiamo forti dosi di Obama nella speranza che eserciti una benefica funzione antidepressiva. Tanto più che ormai è anche Paul Krugman, il nuovo premio Nobel per l’economia, a diagnosticare un’America precipitata dalla recessione in vera e propria Depressione.
Sperando che non si tratti solo di un momentaneo effetto placebo, Barack Hussein Obama Jr. divenuto presidente degli Stati Uniti rappresenta innanzitutto un evento culturale, un balzo in avanti della storia tale da spiazzare le retroguardie dell’occidente.
Prima ancora di verificare la sua capacità d’innovazione alla prova del governo, è di per sé ragguardevole il consenso raccolto intorno a una figura meticcia, post-razziale, capace di guidare con spirito religioso persone tanto diverse fino alla fusione, a sentirsi partecipi di un comune passaporto delle opportunità. Non si può pretendere che lo capiscano e lo apprezzino tutti. Ma l’ascesa di Obama al vertice occidentale funzionerà, ne sono certo, come un ottimo corso di educazione civica per gli analfabeti delle diversità, anche in casa nostra. Vedrete che Marcello Pera non dirà più spropositi sul pericolo di diventare tutti meticci. Maurizio Gasparri si cucirà la bocca piuttosto di ripetere che Obama tranquillizza al Qaeda. E quanto alla vieta battuta berlusconiana sull’”abbronzatura” –buona per il Bagaglino, già troppo vecchia per “Zelig”- il nostro premier è veloce nel misurare i rapporti di forza: non si ripeterà.
Davvero esagerato gridare al razzismo o prevedere una crisi diplomatica tra Italia e Stati Uniti. Più esatta la critica rivolta a Berlusconi da Carla Bruni: il nostro premier ha “preso l’avvenimento alla leggera”, buttandola sul ridere. Ignaro del suo significato storico, lo ha ridotto a spettacolo epidermico. Un po’ ammirato, un po’ geloso. (Se poi madame Sarkozy si fosse risparmiata l’iperbole retorica sulla fortuna di essere diventata francese, avrebbe fatto bingo).
Modestamente, avevo previsto una settimana prima del voto che il presidente sanguemisto in Italia sarebbe stato oggetto di gaffes tra quei politici che adoperano il linguaggio greve pensando così di apparire più vicini al popolo. Seguiranno apposite telefonate esplicative da via Veneto, sede dell’ambasciata Usa, e in breve i goliardi saranno rimessi al loro posto. Oso sperare che ne approfittino per moderare il linguaggio anche nei confronti dei meticci e dei vari Hussein –non “bingo bongo”- nostrani che non sono diventati presidenti degli Stati Uniti, ma meritano lo stesso identico rispetto. Ho trovato ottima in proposito la vignetta di Vauro: “Troppo comodo fare gli antirazzisti con i neri degli altri”.
Accadrà, ne sono certo. Siamo indietro di una generazione, ma capaci di imparare in fretta. E ci aiuterà magari anche l’autoironia con cui Obama racconta la sua storia, perfino quando si tratta di scegliere il cane promesso alle figlie per il trasloco alla Casa Bianca: “Lo sceglieremo in un canile, probabilmente un mutt, cioè un incrocio di razze come me”.
Potrete intuire l’esultanza del mio cane J, umile portabandiera del meticciato, che da tre anni cerco di convincere a non considerare “bastardo” un insulto bensì un complimento: J ha rinunciato a candidarsi come “first dog” della Casa Bianca, ma d’ora in poi pretende che lo definiamo di pura razza Obama.
Tutto ciò nell’attesa che il nuovo presidente ci deluda con la sua azione politica. Ma dalle sue prime mosse si intuisce che non sarà facile.

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