Comunisti virtuali e lavoratori reali

mercoledì, 26 novembre 2008

Questo articolo è uscito su “Repubblica”.
Reduce da una catastrofica sconfitta politica, il comunismo riciclato con sapienza da Bertinotti come linguaggio televisivo si prende la rivincita espugnando con Vladimir Luxuria il reality show. Pure l’auditel viene surriscaldato dall’evento, nel mentre il gelo della recessione penetra le ossa di un mondo del lavoro sempre più lacerato e afono perché costretto a fare i conti con una raffica di fallimenti personali.
Troppo facile, moralistico, giocare su tale contrasto fra una vittoria all’“Isola dei famosi” e tante sconfitte nella penisola dei cassintegrati o “senza rete”? Al contrario, dobbiamo riflettere su questo segno dei tempi se non vogliamo perdere del tutto i contatti con la realtà. Com’è successo a certi compagni di Luxuria che esaltano un improbabile significato liberatorio del suo successo.
Pur con tutta la simpatia che può ispirare l’ex parlamentare di Rifondazione incoronata dai telespettatori in un impeto d’innocua trasgressione, lo sapevamo già che la grande crisi 2008-9 non sarà una faccenda da comunisti virtuali. Ci mancherebbe che su tante persone improvvisamente costrette a misurarsi con il baratro della povertà, gravasse anche il peso di un’ideologia antagonista in format tv. Il distacco fra la sinistra virtuale e la sua comunità d’origine è ormai da tempo compiuto. Ma in questi giorni perfino lo specchio deformato dell’audience televisiva dovrebbe aiutarci a misurare in quale vuoto di comunicazione, in quale solitudine, si stanno consumando tanti passaggi esistenziali.
Nei distretti industriali che fino a ieri simboleggiavano l’eccellenza e il benessere dei cicli espansivi, dove il passato e il futuro coincidevano da generazioni nell’evoluzione del medesimo prodotto, capita ora d’incontrare padri, figli, mogli, nuore finiti tutti insieme nella cassa integrazione. Il benessere è già un ricordo nella Val Seriana colpita dalla crisi del tessile, così come nel feudo marchigiano degli elettrodomestici dove rischia di chiudere la Antonio Merloni. Scricchiola a Sassuolo la roccaforte della ceramica e anche il Nord-Est patisce il taglio brutale degli ordinativi. Ma siccome ormai è la stessa mamma Fiat a disdettare centinaia, se non migliaia di contratti a termine, ricorrendo massicciamente alla cassa integrazione per i suoi addetti a tempo indeterminato, ecco che ci tocca fare i conti con la vera novità di questa crisi.
Il mondo del lavoro non è mai stato così diviso al suo interno. I tardivi richiami sindacali alla solidarietà e la richiesta di una riforma universalistica degli ammortizzatori sociali, vi appaiono dunque poco credibili. Proprio come gli appelli di Berlusconi a consumare di più.
E’ imbarazzante fare la conoscenza dei 360 ingegneri torinesi mandati a spasso improvvisamente dalla Motorola, senza cig né cassa integrazione. Ma ancor più imbarazzante è riscontrare la cattiva sorte toccata a migliaia di assistenti di volo e lavoratori di terra Alitalia: a loro è toccato rinnovare più volte negli anni un contratto provvisorio e quindi ora non godranno del sussidio garantito invece fino al 2014 ai loro colleghi in esubero ma meno sfortunati, che pure svolgevano le stesse identiche mansioni.
Il panorama è completato dai giovani apprendisti rispediti prematuramente a casa; dagli operatori di call center così flessibili da non meritare preavviso di licenziamento; dagli agenti immobiliari cui si chiede di mettersi in proprio, se vogliono continuare a lavorare; e dalla massa imponente degli immigrati che senza lavoro vedono rimesso in discussione il permesso di soggiorno. Senza contare i famigerati precari del pubblico impiego.
La nostra società, assuefatta alla crescita esponenziale delle disuguaglianze di reddito, già da tempo ha archiviato come retrograda la nozione di giustizia sociale. La predicazione del rischio come virtù ha mirato a realizzare il mito dell’uomo flessibile, senza indugiare sui fallimenti che ne avrebbero costellato il cammino. Abbiamo tollerato come passaggio doloroso ma necessario l’apartheid che separa i lavori protetti da quelli che non lo sono.
Ora che la crisi morde là dove non pensavamo sarebbe mai giunta tutto ciò desta scandalo, ma si tratta di uno scandalo difficile da condividere nella dimensione superata della comunità sociale.
I lavoratori in cassa integrazione non vi rinuncerebbero in favore di un sussidio unico di disoccupazione che tuteli anche i “senza rete”. I dipendenti stabili guardano con disagio i colleghi “a termine” allontanati, ma che ci possono fare? Gli anziani sono ostili all’idea di ridimensionare il loro trattamento previdenziale per sostenere i giovani. Gli italiani avvertirebbero dannosa un’estensione di tutele ai colleghi stranieri.
E’ difficile, in questa situazione frantumata, che il mondo del lavoro parli con una voce sola. Ci sono quelli che vanno in corteo sotto la sede della banca per invocare una proroga dal rientro del debito aziendale, come gli operai della Pininfarina. Altri confidano negli enti locali per ottenere un anticipo del sussidio, oppure confidano nella sensibilità degli imprenditori per soccorrere le urgenze. Tutti aspirano a un sostegno pubblico governativo che sarà comunque insufficiente, né fornisce risposte sull’impiego futuro.
La recessione ormai prolungata, e destinata ad aggravarsi nel 2009, ha modificato così la condizione esistenziale dei lavoratori. Nel contrasto vissuto tra realtà e virtualità, la televisione diviene una scatola magica in cui si rappresenta un mondo distante. Dove il presidente del consiglio raccomanda a tutti di spendere per sostenere l’economia, e la drag queen comunista traslocata dai salotti politici a una spiaggia in Honduras ne rappresenta il degno contraltare.

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