Recito il Kaddish per i miei correligionari inseguiti e assassinati nel centro Chabad della setta Lubavitch, a Mumbai; vi riconosco la firma del terrorismo di matrice islamica che ci ha eletti a suoi nemici, ponendoci al fianco dei “crociati”; ma spero ardentemente che di fronte alla carneficina nessuno voglia suddividere le vittime in base a chissà quale scala di valori.
Posso capire che i giornali segnalino la caccia all’ebreo come prova della quasi certa matrice degli attentati. Ma temo già l’insinuazione di coloro che a bassa voce diranno: ecco, i soliti ebrei, quando tocca a sette di loro ci sono i titoloni in prima pagina e le altre centinaia di vittime passano nel dimenticatoio. E’ vero che Israele e l’ebraismo si trovano oggi nel cuore di un conflitto simbolico che rimette in discussione la nostra esistenza autonoma. Ma a Mumbai il tentativo è di destabilizzare la convivenza possibile fra oriente e occidente, fra culture e fedi diverse, fra interessi commerciali e finanziari su cui si regge l’equilibrio della globalizzazione. Ecco, direi così, senza particolarismi controproducenti: è una strage contro la globalizzazione e il cosmopolitismo, perchè l’Asia torni ad essere solo il campo di battaglia dei fondamentalismi.