Un paio di cose su Telecom e La7

giovedì, 4 dicembre 2008

Non invidio Franco Bernabè che “per tigna” -parole sue- ha voluto tornare alla guida della Telecom, otto anni dopo averne denunciato l’irresponsabilità della vendita a debito (qui sul blog ho ripubblicato l’intervista contro la cordata Colaninno che gli feci all’epoca). Nel frattempo quell’enorme debito grava ancora sulle spalle di un’azienda che per questo non gode come dovrebbe i suoi incassi; anche perchè la gestione precedente -ossessionata dall’urgenza di mantenerne il controllo- l’ha spogliata di molti suoi gioielli. Come se non bastasse, è arrivata pure la recessione mondiale.
Risultato? Telecom stringe la cinghia e per resistere taglia i costi, che poi vuol dire soprattutto un 14% di personale in meno: altri 4 mila esuberi annunciati, da sommare ai 5 mila già concordati col sindacato. Confidando, naturalmente, in un occhio di riguardo governativo per gli ammortizzatori sociali. Naturalmente c’è dell’altro: la fine della pacchia dei dividendi facili (voluti da azionisti famelici perchè indebitati); razionalizzazioni, vaghe ipotesi di cessione della rete strutturale (viva Rovati!), custodia gelosa del patrimonio brasiliano… Non me ne intendo, posso intuire che nella bufera saggezza voglia che si punti innanzitutto a resistere e sopravvivere.
Mi chiedo solo se a limitare il raggio d’azione di Telecom, oltre ai debiti contratti dalle sciagurate gestioni precedenti, non vi sia anche la visione politica angusta del “campione nazionale” da difendere nella sua italianità. Certo la Telecom non è l’Alitalia, ma a furia di presentarla come strategica per il paese i governi (di destra e di sinistra) secondo me l’hanno condizionata negativamente. La concepiscono come parte di un sistema protetto, e di un equilibrio di potere pericoloso da toccare (vedi la salvaguardia di Tronchetti Provera da parte di Mediobanca, Intesa Sanpaolo, Generali, Benetton). Solo che quando non c’è trippa per gatti questa visione politica pseudo-patriottica delle aziende rivela tutti i suoi limiti.
Tipico è il caso de La7, dentro al caso Telecom. In termini di fatturato si tratta di un’entità minima rispetto alle dimensioni del gigante telefonico, il che ha reso tutto sommato sopportabili finora delle perdite che avrebbero invece schiacciato un editore normale. Ora però, puntuale e inevitabile, anche qui si pone il problema degli esuberi (una redazione giornalistica valida ma troppo numerosa in proporzione allo share), magari dopo anni di assunzioni disinvolte. Perchè è chiaro come il sole cosa manca a La7 per diventare redditizia: un quadro normativo rispettoso di quelle minime regole antitrust vigenti nelle altre democrazie industriali. In assenza di ciò, che la politica rende impensabile, Telecomitalia Media procederà per aggiustamenti parziali. Vivendo il seguente paradosso: le è strutturalmente impedito di diventare grande; ma il vuoto culturale concesso dai network concorrenti si conferma tale da regalarci un formidabile spazio di qualità.
Non è male lavorare sulla qualità invece che sulla quantità. Sono certo che a La7 continueremo a farci notare per contrasto grazie alle restrizioni di mentalità della concorrenza, e le riserveremo delle sorprese pur restando nel nostro piccolo (sennò guai!). Ma intanto la recessione colpisce pure noi, e la politica può trasformare perfino l’ottimo Maurizio Crozza in un pericoloso sovversivo, sorvegliato speciale.

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