A cosa serve Dagospia

mercoledì, 17 dicembre 2008

Questo articolo è uscito su “Vanity Fair”.
Poco prima di scrivere questo articolo dedicato alla vanità –su un giornale che ce l’ha nel titolo- ho appreso che esiste su Facebook un gruppo di miei cosiddetti “fans”. Quattro gatti, ovviamente, ma i benemeriti sono stati sufficienti a rigonfiarmi l’ego per qualche minuto: il narcisismo è la malattia più diffusa tra chi lavora in televisione.
L’apparire elegante e di successo –non importa se nella versione ostentata pop o nella versione élitaria snob- è un’esigenza sempre in crescita che dà luogo a una vera e propria industria della vanità, fiorente pure in tempi di crisi. Appositi specialisti inventano sempre nuovi strumenti adibiti all’ostentazione del successo, cioè a darsi una quantità di arie sufficienti allo star bene con se stessi.
Il business della vanità, e il giro d’affari dei suoi specialisti, sono schizzati all’insù da quando la clientela è cambiata: non più solo le star del cinema, della musica, della tv, dell’aristocrazia. Ma anche i politici e gli imprenditori, cioè coloro che in passato si pensava dovessero accontentarsi del potere e del denaro, senza bisogno ulteriore di esibizione.
Se provate a chiederlo direttamente a loro, vi risponderanno aggrottando la fronte: è una dura necessità, per sopravvivere tocca andare spesso in tv, vestirsi nella maniera giusta, mostrarsi desiderato, spiritoso, vicino ai gusti del popolo… Ma non credetegli. Per “sopravvivere” tutto ciò non è indispensabile. Lo diventa quando si vuole sopravvivere “sulla cresta dell’onda”. Cioè il luogo in cui ti si nota di più.
L’affanno con cui signori attempati e senza problemi economici si battono per mantenere l’ennesimo incarico politico o confindustriale, che dia loro “titolo” per sedere ancora nell’establishment, lascia intendere che un benessere appartato riuscirebbe loro insopportabile.
Ho già segnalato l’abilità con cui un manager della vanità come Alfonso Signorini, direttore di ben due settimanali a larga tiratura fra il gossip e lo spettacolo, acchiappa il grande pubblico facendo il burattinaio degli esibizionisti (al servizio del suo azionista Silvio Berlusconi). Ma è altrettanto interessante notare lo zelo con cui tanti uomini del potere –finanzieri, industriali, il direttore del “Corriere della Sera”, un senatore a vita- siano accorsi alla presentazione di un’antologia fotografica del sito Dagospia (www.dagospia.com).
Altro che pettegolezzi. La settimana scorsa Roberto D’Agostino ha potuto esibire fotograficamente online un ragguardevole bottino di cortigiane e faccendieri riuniti a cena per rendergli omaggio con gratitudine perché la sua malizia corrisponde alle loro più varie esigenze. Tra quei vanitosi era riconoscibile la componente più manovriera dell’establishment italiano (sebbene un paio di banchieri e manager tra i più potenti ispiratori delle dago-notizie, come al solito, non comparissero). Navigatori dell’economia di relazione convinti a ragione che in Italia tenersi buono questo e quello conti più dei risultati professionali.
La vanità non è più una debolezza che si porti con autoironia. Solo in taluni casi estremi tracima nell’antico vizio della superbia. Noi narcisi contemporanei la indossiamo come autodifesa di un benessere che temiamo possa scomparire non appena si spengano i riflettori, lasciandoci soli con le nostre rughe e i nostri capelli bianchi. A quel punto non basterebbe neanche una montagna di denaro per consolarci, nutriti come siamo d’apparenza.

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