Sarà dura, ma il Pd ha un futuro (1)

lunedì, 22 dicembre 2008

a) Cominciamo da una considerazione che ha a che fare piuttosto con le leggi della fisica: la percentuale di italiani che non si riconoscono nel governo della destra oscilla intorno al 40% e talvolta lo supera di un bel po’ (anche se oggi fra loro prevale la tendenza al disincanto e all’astensione). Immaginare che tornino a dividersi in base alle appartenenze laiche, socialiste, cattoliche, ambientaliste, comuniste del passato mi sembra assai poco probabile. Ergo: il “contenitore” Partito democratico mantiene una sua potenzialità, cioè resta l’offerta più razionale che un centrosinistra moderno possa offrire all’elettorato di sinistra nel suo insieme.
Questo ci preserva dal rischio che Veltroni e il drappello degli oligarchi alla testa del Pd finiscano per distruggerlo? No. E’ possibile che alcuni di loro siano tentati da imprese solitarie (Rutelli con Casini; D’Alema con i resti dei comunisti), ma non farebbero molta strada.
Il Partito democratico è nato con colpevole ritardo, ma ora c’è, e cancellarlo non sarà semplice neppure per costoro che ce la stanno mettendo tutta.
Certo, ha vissuto in origine una carenza di leadership: Romano Prodi è stato “sopportato” come federatore ma non ha manifestato in alcun modo le caratteristiche e l’energia del fondatore. Pur essendo di una buona spanna al di sopra dei notabili di partito, quanto a autorevolezza e capacità di visione, si è lasciato ridimensionare a figura tecnica. Cosicchè oggi il Pd non ha neppure un presidente.
b) Una seconda considerazione me la offre oggi la bellissima intervista di Isaia Sales su “Repubblica”, in cui si racconta la degenerazione della giunta Bassolino partendo dai suoi rapporti con le leadership romane. Un episodio illuminante: Mastella può andare dal presidente della Regione Campania rivendicando due assessorati (e chissà quanto altro) perchè lo ha ottenuto a un tavolo romano. E lo “sciagurato” Bassolino subisce. Come subisce De Mita, Pecoraro Scanio e compagnia bella. Qui non ci sono una vittima e un colpevole. C’è una logica politica necessariamente dettata dall’alto che nessuno dei protagonisti -neppure chi avrebbe potuto almeno provarci, tipo Prodi e Bassolino- ha voluto denunciare e rovesciare. Così le situazioni incancreniscono, in una paralisi apparente. E’ semplicemente insano che un leader come Bassolino resti per più di quindici anni al potere negli stessi luoghi. I “romani” gli chiedevano di restare perchè solo lui poteva vincere in Campania, ma anche perchè così lo tenevano alla larga da Roma. Lui gli ha obbedito e ora si prende i loro calci in faccia.
c) Questi meccanismi denotano come la malattia dei vecchi partiti si sia trasferita paro paro nel Pd. Si chiama assenza di democrazia. Pensare di combattere il “cesarismo” di Berlusconi con un “cesarismo” democratico è una sciocchezza colossale, degna al massimo di un tribuno come Antonio Di Pietro. Il Pd dovrebbe essere esemplare nel rappresentare dentro di sè il sistema democratico cui aspira. Un partito in cui le decisioni si assumono votando. Dov’è garantito lo spazio alle donne e ai giovani. Dove lo statuto e il codice etico non sono carta straccia ma la prima forma di legalità.
Purtroppo succede al contrario che chi denuncia i “capibastone”, cioè Veltroni, è il primo a comportarsi sistematicamente come un “capobastone”.

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