Questo articolo è uscito su “Repubblica”.
Lo so che hanno un suono antiquato le parole pronunciate la notte di Natale dall’arcivescovo Dionigi Tettamanzi proprio lì nel quadrilatero della moda, della tv commerciale, della pubblicità, della finanza: “Santa sobrietà”. “Supplemento speciale di fraternità e solidarietà”. “Per una nuova primavera sociale”.
Luccica talmente il centro di Milano, là intorno al Duomo dai marmi appena rischiarati, che finisce per stridervi il codice di comportamento proposto dall’altare: impariamo a rinunciare; rinviate le spese non urgenti; sentite come vostro il problema di chi, insieme al posto, rischia di perdere la dignità.
Ma soprattutto colpisce l’idea operativa del cardinale, in una metropoli assuefatta alle disuguaglianze che da anni ormai ha smesso di riflettere sulle politiche sociali, tutta proiettata com’è nel miraggio della cementificazione e dell’Expo 2015: diamo vita a un Fondo famiglia-lavoro –dice il pastore della Chiesa ambrosiana- e tanto per essere pratici vi devolve il primo milione di euro. Dunque le parrocchie, coordinate dalla Caritas e dalle Acli, s’incaricheranno di distribuire tra chi soffre di più i morsi della crisi “assegni a parziale integrazione del mancato reddito da lavoro”.
Abbiamo il diritto di scandalizzarci per questo ritorno dell’assistenza religiosa “fai da te”? Non mi pare il caso, dopo che il governo come prima iniziativa anti-recessione ha partorito la tessera di povertà; una social card, peraltro, difficile da ottenere (su una platea di un milione e trecentomila aventi diritto finora sono riusciti a utilizzarla solo in duecentomila) e che sta dando luogo a imbarazzanti rifiuti telematici nelle code dei supermercati. L’arcidiocesi milanese, se non altro, garantisce che gli assegni saranno distribuiti con la massima discrezione.
Certo, viviamo un altro passo indietro rispetto al principio normativo dell’assistenza pubblica garantita come tutt’uno insieme alla cittadinanza. Lo stesso cattolicesimo sociale contempla ormai la virtù della carità come inscindibile da una responsabilità politica più generale. Il volontariato religioso non vuole fornire alibi alle istituzioni, cui spetta l’obbligo di garantire un minimo di giustizia redistributiva.
Ma è talmente raro a Milano udire una denuncia delle ingiustizie sociali, anche da parte di un’opposizione sempre timorosa di perdere contatto con la città affluente. E siccome è ancora più raro che alla denuncia segua una proposta concreta, la sua matrice religiosa non rappresenterà certo un ostacolo. Anzi, sarà interessante misurare il confronto delle donazioni tra Stato e Chiesa. Va ricordato infatti che la social card governativa è stata finanziata per più di metà grazie a 250 milioni di euro “spontaneamente” devoluti dai profitti di Eni e Enel. C’è da sperare dunque che a Milano il Fondo famiglia-lavoro registri un’adesione consistente di aziende e fondazioni bancarie, oltre che di privati cittadini. Lo strumento dei Fondi di sottoscrizione, non necessariamente limitati all’ambito cattolico, eserciterebbe in giro per l’Italia della crisi un ruolo di supplenza, visto il nostro imbarazzante ritrovarci fanalino di coda europeo negli ammortizzatori sociali.
Questa è la piaga che il governo minimizza, ma che pure i sindacati esitano ad affrontare perché ne sono corresponsabili: solo un disoccupato su cinque, nel nostro paese, usufruisce di un sostegno pubblico. La platea cui si rivolge l’iniziativa del cardinale Tettamanzi è dunque vastissima e priva di rappresentanza: si va dai contratti precari in scadenza, agli eterni apprendisti; dai falsi lavoratori autonomi, agli immigrati di cui viene rimesso in discussione, col lavoro, anche il permesso di soggiorno; dai cassintegrati con famiglia numerosa, a chi non è più in condizione di pagare il mutuo casa.
Se anche i sindacati proveranno disagio per la natura privatistica di questo appello alla raccolta di denaro, lanciato solennemente da un altare, temo abbiano poco titolo per criticarlo: solo pochi mesi fa –a crisi già scoppiata- firmavano un contratto Alitalia che grida vendetta dal punto di vista della solidarietà fra lavoratori. Basti pensare all’arbitrio con cui il personale a tempo indeterminato in esubero ha ottenuto tutele negate a chi svolgeva le stesse funzioni, ma da precario. Senza contare la sproporzionata quota di soldi pubblici investiti –chissà perché- in quel solo settore di lavoro subordinato.
Oggi che la Cgil sembra condividere la linea dei “contratti di solidarietà” ipotizzata dal ministro Sacconi, bisognerà ricordare come il “modello-Merkel” contempli prima di tutto un sussidio non irrisorio per i disoccupati tedeschi. Il pericolo in Italia è che si riproponga un accordo neo-corporativo a tutela dei dipendenti sindacalizzati delle grandi imprese, rinviando di nuovo un’equa ripartizione degli ammortizzatori sociali.
Il cardinale Tettamanzi probabilmente non ha fatto di questi calcoli, ma il suo Fondo famiglia-lavoro si presenta come obiezione efficace a chi elude questa necessità: bisogna trovare al più presto risorse da distribuire tra i non garantiti, dentro a un mondo del lavoro contrassegnato da divisioni senza precedenti che rischiano di oscurare qualsiasi nozione di solidarietà.
Pochi giorni prima del Natale, visitando la Casa della Carità, il sindaco Letizia Moratti se l’era cavata raccomandando ai milanesi di versare al centro d’accoglienza di don Virginio Colmegna il loro 5 per mille. La politica è concentrata sul business, come al solito, nella speranza già rivelatasi illusoria che la Milano dei danée possa sfuggire all’abbraccio disperato della Milano dei poveri.
Tettamanzi, invece, da arcivescovo ci mette di fronte a una visione pratica della religiosità. Dice ai testimoni del Vangelo che bisogna agire nei prossimi mesi in difesa di chi perderà il lavoro, perché immagina una religione viva dentro il tessuto sociale e le sue sofferenze. E’ la stessa motivazione –la religione viva- con cui auspica moschee dignitose e adeguate per i concittadini milanesi di fede islamica, a costo di subire l’attacco di chi usa il cristianesimo come un’armatura. Vedremo se tacceranno di “catto-comunismo” anche la sua richiesta di cambiare stile di vita e di mettere mano al portafogli.