Questo articolo è uscito su “Nigrizia”.
Voglio esprimere la mia delusione per la lettera che Benedetto XVI ha inviato a Marcello Pera, nella quale loda il suo libro “Perché dobbiamo dirci cristiani”, edito da Mondadori, definendolo addirittura “di fondamentale importanza in quest’ora dell’Europa e del mondo”.
Mai prima di questo breve testo papa Ratzinger era stato altrettanto esplicito nel ridimensionare la portata del dialogo interreligioso: “nello stretto senso della parola non è possibile”. Preferendogli un “dialogo interculturale” per realizzare il quale sarebbe necessario “mettere fra parentesi la propria fede”.
Mi dispiace per lui. Trovo misera, infatti, quella fede che si lascia mettere tra parentesi per timore del sincretismo. Quasi che le Verità rivelate necessitassero di una recinzione protettiva, e gli inevitabili cambiamenti di noi stessi determinati da un dialogo autentico, cioè destinato a trasformarci, ci allontanassero per ciò stesso dalla fonte del nostro credo. Benedetto XVI troverà senz’altro compiacenti seguaci tra gli ebrei, i musulmani e i cristiani, nella marcia indietro della dogmatica. Ma noi continueremo a riconoscere nella preghiera altrui la trascendenza verso un Assoluto che per fortuna ci accomuna, senza paura di esserne contaminati, anzi, consapevoli che la dimensione storica, terrena, delle religioni, le rende tutte (per fortuna) soggette a trasformazioni. Così la paura di una fede debole talvolta dà esiti involontari di prepotenza perché interpreta le trasformazioni come anticamera della scomparsa. Peccato.
C’è però un secondo motivo di rammarico che vorrei comunicarvi, e di stupore.
Mi sconcerta, infatti, la modestia teorica dell’interlocutore che il papa si è scelto fino a considerarlo “fondamentale”. Intuisco che lo affascini –e viva come un successo- il percorso di avvicinamento alla Chiesa di un settore del pensiero laico che in passato le si contrapponeva aspramente. Qui non mi permetto di insinuare sulla sincerità di Marcello Pera, che ho conosciuto bene nelle sue molteplici “incarnazioni” precedenti. Mi sarei però aspettato che il teologo Joseph Ratzinger riconoscesse l’evidente natura pamphlettistica del saggio di Pera, ben lungi dalla caratura di un trattato filosofico.
Ma l’ex presidente del Senato non ci propone nemmeno una riflessione autobiografica trasparente delle sue svolte: dal tempo non lontano in cui si opponeva alla citazione delle radici cristiane nel preambolo della Costituzione europea, alla forzatura attuale per cui un liberale dovrebbe giocoforza dirsi cristiano. Sorvola, ci lascia interdetti, non fa trapelare alcun travaglio, trasmette una sensazione di disinvoltura.
Se questo è il livello dei partner scelti dal papa, non mi pare una buona notizia per la Chiesa.