Vi spiego perchè Tremonti loda Prodi

mercoledì, 21 gennaio 2009

Questo articolo è uscito su “Vanity Fair”.
Il compagno ministro Giulio Tremonti ormai non si limita più a proporre tasse sui ricchi speculatori (che nel frattempo si sono ritrovati poveri). Ora il ministro soprannominato anche “Ve l’avevo detto” (che sarebbe arrivata la crisi) invoca direttamente la cacciata dei banchieri: o a casa, o in galera. Lo fa in televisione da Fabio Fazio, trasmissione di sinistra, aggiungendoci la ciliegina di un pubblico elogio a Romano Prodi, non prima di avere esternato una sostanziale differenziazione nei confronti del “suo” premier Berlusconi nel modo di vivere il tempo gramo della recessione.
E’ evidente che Tremonti ha un progetto, e lo porta avanti con coerenza. Ma si tratta di un progetto politico e culturale più che di un progetto economico. Frequentando da anni l’élite finanziaria globale contro cui scaglia le sue minacce, Tremonti ha infatti capito che il governo di uno Stato-nazione come l’Italia può fare ben poco da solo per sostenere i consumi e rilanciare la crescita. La citazione di Prodi è un mettere le mani avanti: non illudetevi che un ministro dell’Economia possa fare granchè senza (improbabili) piani anticrisi varati su scala planetaria.
La simpatia manifestata a Obama e le strizzatine d’occhio alla sinistra politica e sindacale, invece, corrispondono alla convinzione tremontiana di poter essere lui l’interprete dello “spirito dei tempi”. Nei prossimi giorni intavolerà negoziati sugli ammortizzatori sociali, mettendo sul piatto 8 miliardi di euro in più per tamponare l’emergenza dei precari rimasti senza lavoro. Ora che perfino Berlusconi riconosce a modo suo la gravità della crisi (come? Vendendo Kakà agli sceicchi), Tremonti esplicita un piano fatto apposta per piacere alla Cgil e al mondo del lavoro dipendente: il governo non può salvare tutto e tutti dal fallimento; dunque si preoccuperà “delle famiglie, delle imprese e della parte funzionale delle banche, quella che finanzia l’economia”; lasciando invece che affondi la “finanza fine a se stessa”.
Bello e giusto, vero? Con tanto di citazione di Marx e versetto giubilare tratto dal Levitico che preannuncia il tempo della restituzione, ce n’è per tutti i gusti. Poco importa che separare la finanza buona da quella cattiva sia in realtà esercizio impossibile, essendo i famigerati “derivati speculativi” figli naturali del capitalismo manifatturiero. L’importante è scagliarsi contro qualche malfattore potente lontano come Bernard Madoff cui promettere la galera, per sottomettere alla sua volontà banchieri e imprenditori nostrani. Poi tenere saldo il già buon rapporto con D’Alema perché non si sa mai: se la crisi dovesse farsi davvero travolgente fino a rendere ornamentale la leadership berlusconiana, i due “statisti”, da destra e da sinistra, rilancerebbero insieme quel senso di responsabilità nazionale che li porterebbe dritti alla “grosse koalition” di scuola tedesca.
Un bel Giulio Tremonti-Angela Merkel: del resto è lo scenario anticrisi che il nostro indicava come necessario già nel 2006. Lo guida la convinzione che la sinistra sia ormai talmente frantumata e in deficit d’idee da lasciare che il suo mestiere venga disinvoltamente svolto da un uomo dalle tradizioni inventate come lui: finto all’antica. Con dosaggi di Ratzinger, Bossi, Miglio, e un occhio di riguardo ai valori di un certo anti-illuminismo autoritario, che fanno di lui il contrario del Berlusconi commerciale, consumista, edonista.
Il piano di Tremonti ha una sua logica inesorabile, rivela sapienza politica (nell’impotenza economica) e appare in sintonia con lo stato d’animo degli italiani. Ha un solo difetto: è molto scoperto. Non mi stupirei che Berlusconi lo stronchi sul nascere. Non sarebbe la prima volta che Tremonti viene licenziato dal suo presidente del consiglio.

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