Le donne, gli stupratori e noi

mercoledì, 18 febbraio 2009

Questo articolo è uscito su “Vanity Fair”.
Quanta importanza ha il passaporto dello stupratore? In Italia, oggi, moltissima. Basta constatare la diversità della reazione popolare di fronte a episodi odiosi di violenza sulle donne, a seconda che i colpevoli siano italiani o stranieri.
Nel primo caso, lo stupratore italiano, cala un silenzio imbarazzato. Rotto solo dalle grida di dolore dei genitori della vittima quando al reo confesso vengano concessi gli arresti domiciliari. Capitano perfino manifestazioni di solidarietà al “bravo ragazzo”, così diverso dal ritratto ostile della televisione. Il branco italico, specie se composto da minorenni come in un recente caso nella provincia di Brescia, va accompagnato in un percorso di riabilitazione. E protetto con la riservatezza dovuta alle loro famiglie perbene.
Il branco straniero, viceversa, è meritevole di linciaggio. Dove il crimine ha per vittima un’italiana abusata da immigrati, scatta una furia collettiva che dà luogo a spedizioni punitive, pestaggi di ignari connazionali dei violentatori, devastazioni dei loro negozi etnici o delle baracche in cui vivono. Nessuna reazione paragonabile, invece, quando gli stupratori stranieri vengono sorpresi ad accanirsi su donne a loro volte straniere, il che purtroppo è molto frequente.
Lo so bene che la cultura misogina, l’abitudine a un dominio brutale sulle proprie donne, dà spesso luogo nei clan rom e sinti (zingari) a violenze inaccettabili. La piaga delle maternità precoci, adolescenziali, negli accampamenti ne è la prima conferma.
So anche che per gli immigrati nordafricani può risultare choccante l’approccio con la femminilità occidentale, ma nessuna indulgenza sociologica può essere accampata di fronte a loro comportamenti aggressivi. Si abituino al rispetto del corpo femminile. Né può essere invocato come attenuante il fatto che il rispetto per la dignità della donna venga spesso meno nella cultura dominante del nostro paese, dalla televisione alla pubblicità, dalle relazioni familiari alla mercificazione del sesso.
L’enfasi posta sulla natura etnica degli stupri, cioè sul passaporto dello stupratore, sta rivelandosi come uno degli effetti più clamorosi dell’inciviltà in cui ci precipita una crisi di valori resa ancora più acuta dalla crisi economica. I lettori di “Vanity Fair” mi sono testimoni: da anni denuncio questo scivolamento inconsapevole nel razzismo, alimentato da un cattivo governo dei fenomeni migratori e dall’irresponsabilità di forze politiche che fanno della “cattiveria” nei confronti degli stranieri la propria arma vincente.
Sarà pure fuori luogo la provocazione di “Famiglia Cristiana” che paventa il ritorno al 1938, cioè al tempo delle leggi razziali. Ma come negare che ormai l’Italia si avvia a una giurisprudenza sdoppiata in materia di diritti e doveri –non a seconda di chi paga le tasse e chi no, ma a seconda di dove sei nato? Ottenere un permesso di soggiorno diventa sempre più difficile e costoso. Ma in compenso si rende la vita impossibile a chi non ha il permesso in regola. Peggio, lo stigma minaccioso del “clandestino” viene appiccicato su centinaia di migliaia di persone, ora colpevoli di reato, la cui unica prospettiva sarebbe un’improbabile espulsione. Tutte ricacciate nell’ombra, messe sullo stesso piano dei criminali stupratori.
Se Berlusconi non oserà porre un freno all’offensiva leghista, dalla scuola, agli ospedali, ai posti di lavoro, andremo incontro a conflitti razziali e a una degenerazione della convivenza i cui effetti già si stanno manifestando con morti, feriti e soprusi. Per favore, non facciamo finta di non vederlo, trincerandosi magari nell’ipocrisia del rispetto formale delle normative europee.

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