Secondo voi il Pd cambia davvero?

mercoledì, 25 febbraio 2009

Questo articolo è uscito su “Vanity Fair”.
Auguri a Dario Franceschini, chiamato a smentire il senso comune che l’Italia sia un paese ormai senza opposizione possibile al dominio assoluto berlusconiano. Credo che il secondo segretario del Pd ci sorprenderà sul piano umano –è fatto di pasta dura come il pane ferrarese- pur rimanendo debolissimo politicamente. E’ un uomo più buono del predecessore Veltroni, soverchiato infine dalla sua medesima disinvoltura. Ricordate come predicava la fuoriuscita dei partiti dalla Rai? Ebbene, l’ultimo atto della sua carriera politica è stato far votare nel coordinamento politico del Pd quali lottizzati inserire nel consiglio di amministrazione. Buffo, vero? Di simili doppiezze rischia di morire un partito che celebra nella sovranità dei cittadini –cioè nelle primarie- il suo mito fondativo; ma che non ha finora mai risolto un dilemma politico votando, per paura di scontentare i suoi capiclan.
Ho seguito da delegato l’assemblea costituente di sabato scorso e mi sono reso conto del pessimo servizio reso da Veltroni al suo partito, dimettendosi così tardi. Lo avesse fatto come si usa negli Stati Uniti, cioè subito dopo la sconfitta alle elezioni politiche nazionali cui si era presentato senza più alleati, coltivandosi solo la serpe Di Pietro in seno, il Partito Democratico avrebbe avuto quasi tutto il 2008 per sperimentare un vero congresso e trovare il nuovo leader con le primarie. Naturalmente i notabili erano tutti contrari: loro preferiscono il metodo della congiura di palazzo, per mantenere il controllo su nomine e candidature. Ne sono conseguite altre sconfitte micidiali a Roma, in Sicilia, in Friuli, in Abruzzo, in Sardegna: a dare il senso di una forza allo sbando, priva di personalità culturale e di programmi incisivi per fronteggiare una crisi che cambia la vita delle persone.
Ora quegli stessi notabili hanno escogitato la scusa delle elezioni europee e amministrative di giugno per rinviare ancora congresso e primarie. Tirano a campare, sperando che nel frattempo giunga a salvarli un qualche imprevisto della politica italiana. Pierluigi Bersani ha risospeso di nuovo la sua candidatura, confermandosi un “sor tentenna”. Enrico Letta che candidandosi alle primarie firmava il referendum per un sistema bipartitico maggioritario, ora va a braccetto con il proporzionalista De Mita e i fautori Udc del nuovo centro cattolico. Rutelli dà i cento giorni al Pd, dopo di che minaccia di andarsene, come se la sua scelta coinvolgesse chissà quali masse elettorali. D’Alema giura che lui non fa più parte del gruppo dirigente, peccato lo dica solo dopo essersi fatto rieleggere al Parlamento.
Questo è il guaio toccato a Franceschini, nominato col 90% dei voti da mille delegati (i restanti milleottocento non ci hanno creduto più): l’inerzia dell’unanimismo fasullo.
Resto convinto che restituire il diritto di scelta ai cittadini in cerca di un centrosinistra all’altezza, sarebbe stato vantaggioso per due motivi. Primo. I pretendenti alla leadership si sarebbero dovuto esporre sui nodi politici di fondo, senza i “ma anche” veltroniani: dire ciascuno la propria sul sistema elettorale, le alleanze, il ruolo dello Stato in economia, il testamento biologico. Così si vota e si decide, come prescrive la democrazia.
Secondo. La vitalità di questo partito capace di rivolgersi al popolo nei momenti difficili, sarebbe stato anche un ottimo strumento di comunicazione in vista delle elezioni.
La mia idea, primarie subito, non è passata, confermando che in politica sono proprio un dilettante allo sbaraglio. Ma credo che il Pd pagherà la sua mancanza di coraggio. Per consolazione mi dico che Dario è un cattolico buon custode della laicità, lo ha dimostrato fronteggiando con fierezza un paio d’offensive clericali. La sua cultura mi sembra più solida di quella di Veltroni. Peccato lo abbiano richiamato dalla panchina per una partita impossibile

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