Sono in partenza per Leopoli (Ucraina), l’antica capitale della Galizia ebraica, insieme a tutta la mia famiglia per celebrarvi domani sera il “seder”, ovvero la cena pasquale in cui commemoriamo la liberazione dalla schiavitù d’Egitto. L’indomani mattina porterò tutti a Boryslaw, il paese alle pendici dei monti Carpazi da cui i miei nonni paterni ebbero l’ottima idea di emigrare in Palestina, prima che la furia nazista distruggesse tutto. In tale occasione, la quasi coincidenza temporale fra Pasqua ebraica e Pasqua cristiana, vi propongo un mio articolo uscito su “Nigrizia”.
LE DUE VERSIONI DEL PAPA
Mi ha commosso la sincerità disarmante con cui Benedetto XVI si è rivolto per lettera ai vescovi cattolici dopo la revoca della scomunica ai lefebvriani e il caso Williamson. Quell’insolita missiva conferma l’onestà intellettuale del papa teologo, ma in me ha generato ulteriore confusione su un tema cruciale del nostro tempo qual è il dialogo interreligioso.
Ricordate? Solo pochi mesi fa dichiarai qui il mio sconcerto per l’altra lettera “strana” del pontefice, indirizzata al filosofo Marcello Pera e da questi inserita nel volume “Perché dobbiamo dirci cristiani” (Mondadori). A scanso di equivoci sull’autenticità del testo, l’editore ne stampa in calce la firma autografa. E più sopra leggevamo, con mio rammarico, questa stroncatura del dialogo interreligioso: “Particolarmente significativa è per me anche la Sua analisi dei concetti di dialogo interreligioso e interculturale. Ella spiega con grande chiarezza che un dialogo interreligioso nel senso stretto della parola non è possibile, mentre urge tanto più il dialogo interculturale che approfondisce le conseguenze culturali della decisione religiosa di fondo. Mentre su quest’ultima un vero dialogo non è possibile senza mettere fra parentesi la propria fede, occorre affrontare nel confronto pubblico le conseguenze culturali delle decisioni religiose di fondo”. Scritta a Castel Gandolfi, la lettera reca la data del 4 settembre 2008.
Non un decennio, ma solo 6 mesi dopo, dal Vaticano, il 10 marzo 2009, lo stesso papa diramava quest’altro testo riconosciuto come inconfondibilmente suo: “…lo sforzo per la comune testimonianza di fede dei cristiani –per l’ecumenismo- è incluso nella priorità suprema. A ciò si aggiunge la necessità che tutti coloro che credono in Dio cerchino insieme la pace, tentino di avvicinarsi gli uni agli altri, per andare insieme, pur nella diversità delle loro immagini di Dio, verso la fonte della Luce –è questo il dialogo interreligioso”.
Come noterete, qui il dialogo interreligioso viene indicato come un “andare insieme” che non metterà di certo tra parentesi la propria fede. Anzi, pur nella diversità, tende “verso la fonte della Luce”. Riconoscere che tale Luce ci accomuna, immedesimandoci nella fede, è riconoscere la potenzialità trasformatrice dell’autentico dialogo interreligioso. Ritornato (per fortuna) possibile, di più, necessario.
Qual è il “vero” Benedetto XVI? Quello del settembre 2008 o quello del marzo 2009? Forse il secondo sta ancora combattendo con il primo, perché il dialogo interreligioso è un impulso misterioso della fede difficile da regolare con gli strumenti della teologia tradizionale.