Ricordati che sei stato schiavo in Egitto

mercoledì, 15 aprile 2009

Due giornate intense di spostamenti per me, tra oggi e domani. Questo pomeriggio a Roma per discutere un libro sul rapporto ebrei cristiani dopo il caso Williamson. Domattina a Bologna per l’incontro con Joumana Haddad (vedi annuncio di fianco). Poi di corsa a Milano dove, alle ore 15, nel Cinema Teatro Gregorianum di via Settala 27, parteciperò alla tavola rotonda conclusiva del convegno su “Immigrazione, lavoro, integrazione” organizzato dalla Fim Cisl nazionale. Discuteranno con me: Massimo Cacciari, sindaco di Venezia (non ci vediamo da un’accesa puntata dell’Infedele, sarà interessante farne il bilancio un anno dopo); Franco Pittau della Caritas; Mario Sepi, presidente del Comitato Sociale ed Economico Europeo. Moderatore: Marco Damilano.
Come contributo vi propongo qui di seguito un mio articolo uscito su “Vanity Fair”.

CONTRO I TEORICI DELLA DISUGUAGLIANZA

Si puo’ fare un buon uso del passato, senza lasciare che la memoria da insegnamento si trasformi in ossessione?
“In ogni generazione ciascuno deve considerare se stesso come se fosse uscito dall’Egitto… Infatti Dio santo e benedetto non ha liberato soltanto i nostri padri ma, con loro, ha liberato anche noi”. Ogni anno, rileggiamo durante la cena della Pasqua ebraica questo passaggio della Haggada’h di Pesach prima di assaggiare il pane azzimo , cioe’ “il pane dell’afflizione che i nostri padri mangiarono in terra d’Egitto”. Con i miei figli e i miei amici intorno, a quel punto ogni volta rischio di trasformarmi da celebrante in comiziante perche’ credo di cogliervi non solo il significato piu’ bello del “seder” (cosi’ si chiama la cena pasquale) –cioe’ il precetto biblico dell’immedesimazione- ma anche un richiamo alla sensibilita’ che oggi dovremmo tenere viva dentro di noi.
Era mercoledi’ scorso 8 aprile. Avevo trascinato il branco familiare allargato fino in Ucraina, nella bella citta’ di Leopoli, per sei secoli capitale della Galizia ebraica fino alla catastrofe del 1941-42. Mi piaceva l’idea che i ragazzi vedessero dove sono vissuti i loro bisnonni prima di sposarsi e emigrare in Palestina; un luogo in cui il nonno da bambino tornava per visitare i parenti, l’ultima volta nel 1938. Ho anche tentato di dare un senso di rivincita a questo nostro ri-esserci qui come ebrei, dopo quello strappo brutale della vita e della cultura Yiddish. Qui mi ha stoppato Giuseppe, il mio primogenito, dopo aver visitato la fossa comune in un bosco dei Carpazi dove probabilmente riposano I nostri familiari: “Altro che rivincita! Qui ci hanno fottuto loro, e pesantemente. Anche se distruggendoci hanno disastrato se stessi, basta guardare come sono ridotti ancora tanto tempo dopo”.
Bravo Giuseppe, non c’e’ rivincita possibile per una civilta’ cancellata. Bisognava pensarci prima. Piu’ utile sara’ ritornare a quella raccomandazione pasquale: considerati sempre un miracolato perche’ anche tu avresti potuto essere schiavo come lo furono i tuoi padri. E’ anche un invito a riconoscerli intorno a noi, i moderni schiavi, senza neanche bisogno di andare fino in Egitto. Non dimenticare mai l’esercizio benefico che consiste nell’indossare idealmente i loro panni.
Vi dicevo che durante la lettura del racconto pasquale da celebrante ho rischiato di trasformarmi in comiziante. Prima di metterci a tavola avevo letto su internet che in Italia la Camera dei deputati, inaspettatamente, aveva bocciato gli emendamenti leghisti che istituivano le ronde e triplicavano il periodo di detenzione consentita degli immigrati senza documenti in regola nei Centri di identificazione e espulsione. Lo ammetto, di questi tempi la buona novella della rivolta parlamentare, il dispetto al ministro degli Interni che invocava “piu’ cattiveria”, mi sono parsi un regalo pasquale: una piccola ri-apertura del Mar Rosso, o se preferite una manna caduta dal cielo. Esagero? Lo so. Non paragono certo Maroni al faraone, ma quella sera a Leopoli il pane azzimo mi e’ sembrato particolarmente buono.
Poi arrivano le notizie peggiori, come l’immigrata che in un ospedale di Napoli e’ stata separate dal figlio appena partorito perche’ priva di document in regola; o come il primo medico che ne fa arrestare un altro che aveva in cura. Soprattutto l’accettazione passiva di una bugia: che i mille “clandestini” a rischio di uscita dai Cie tra un mese siano dei pericolosi criminali (nel qual caso espelleteli o rinchiudeteli in carcere) e non delle persone come noi, solo senza documenti in regola. Ricordatevi che anche voi siete stati schiavi in terra d’Egitto.

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