Ma Ahmadinejad non è il nuovo Hitler

mercoledì, 22 aprile 2009

Questo articolo è uscito su “Repubblica”.
Israele prova sgomento di fronte alla violazione del suo lutto. Impietriti nel ricordo delle vittime della Shoah per due lunghi minuti, i suoi cittadini subiscono un’onta da cui speravano di essersi liberati per sempre: la rinascita della loro nazione diffamata alla stregua di un complotto imperiale. Rivive in loro l’incubo dei sopravvissuti, che consiste nella sarcastica negazione delle sofferenze patite.
Eppure Ahmadinejad non è il nuovo Hitler. La figura dimessa del presidente iraniano non è comparabile alla follia del “Mein Kampf” sprigionata dal bagno di sangue nelle trincee d’Europa. La sua propaganda è il frutto di calcoli razionali, rivela astuzia diplomatica, individua e manipola una crepa negli equilibri mondiali per volgerli a proprio vantaggio.
Là dove Hitler esprimeva forza delirante, Ahmadinejad pianifica un disegno. Non ha più ebrei da perseguitare in casa propria. Né lo Stato d’Israele rappresenta una minaccia strategica per la millenaria potenza iraniana che oggi mira alla riconquista dei suoi spazi regionali. Trent’anni dopo la rivoluzione che ha sconvolto l’islam e indebolito l’occidente, Teheran scopre che l’attacco agli ebrei –di nuovo additati come subdoli dominatori di nazioni piegate ai loro interessi- è dirompente quanto la minaccia nucleare. Perché? Perché può spaccare il mondo così come ha già spaccato l’Unione Europea e l’assemblea delle Nazioni Unite.
Per questo è opportuno riconoscere la forza dirompente delle tesi di Ahmadinejad, da tanti applaudite a Ginevra quasi che l’esistenza di Israele simboleggiasse l’ingiustizia del mondo contemporaneo. Egli non corrisponde solo alle frustrazioni di un islam decaduto, ma si rivolge pure alle masse popolari d’Europa, Asia e Sud America sofferenti per il fallimento delle loro economie. Confida nel loro bisogno di cambiamento e gli propone un bersaglio comune. Più volte si è rivolto alla Germania e alle giovani nazioni dell’Est post-comunista per invitarle a emanciparsi dal senso di colpa: non avete patito forse anche voi milioni di morti, sessant’anni fa? I morti ebrei contano forse più dei vostri? Perché tollerate che il ricatto morale alimentato da una propaganda interessata legittimi l’oppressione dei palestinesi?
E’ sintomatico lo sbandamento della Chiesa di Roma, stretta fra il desiderio di recuperare la sua radice ebraica e l’impossibilità di viversi come mera parte dell’occidente. Allargando quella crepa l’Iran mira a conseguire nuovi alleati, isolando gli Usa prima di intavolare una trattativa in cui candidarsi a capofila di un vasto schieramento mondiale.
Così le nazioni occidentali vengono costrette a politiche schizofreniche. Il governo italiano boicotta la Conferenza di Ginevra ma difficilmente recederà dal suo ruolo di primario partner commerciale di Teheran. Consapevole della pericolosità dell’azzardo nucleare e antisemita di Ahmadinejad, foriero di un devastante conflitto di civiltà, il nuovo presidente Usa ha operato una svolta: propone il dialogo sugli interessi materiali ai propagandisti dell’odio. Confida che anche l’arma tossica dell’antisemitismo divenga merce di negoziato, così come l’arma nucleare. Sa di correre un forte rischio, ma ogni paragone con la viltà delle democrazie europee novecentesche è fuori luogo perché la situazione è ben diversa. Qui si tratta di disinnescare un ordigno restituendo ai persiani (e agli arabi) il loro spazio vitale, assicurandone la compatibilità con la sicurezza d’Israele. Non esistono soluzioni pacifiche alternative, ma neppure il ricorso alla guerra ha probabilità di successo.
La forza degli argomenti di Ahmadinehad, infatti, non risiede nella folle tesi di Israele “corpo estraneo” al Medio Oriente, bensì nel riconoscere la contraddizione del nostro tempo in cui la convivenza non è più assicurata dai tentativi di far coincidere Stati e nazionalità. Né i confini tracciati col righello né le prove di Stato etnico bastano più a garantire la pace mondiale. Il nuovo equilibrio internazionale abbisogna di nuove garanzie per la multietnicità e la multiculturalità.
Il focolare ebraico rimesso in discussione è uno scandalo che indigna, come le deformazioni della storia. Ma non è allargando il conflitto che lo proteggeremo: al contrario, gli incendiari sono all’opera per indicare nei soliti ebrei la causa dei disastri prossimi venturi. Ci vuole sangue freddo per controbattere la loro sfida velenosa.

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