Dovremo occuparci ancora del fenomeno definito dalla professoressa Sofia Ventura dell’Università di Bologna come “velinismo” politico, e che sbracando Paolo Guzzanti chiama invece “mignottocrazia”.
Liquidarlo come un semplice prodotto dell’esuberanza senile che sospinge talvolta il presidente del Consiglio oltre i limiti del patetico, sarebbe un errore. Ci vedo piuttosto la modernizzazione televisiva di antichi retaggi italiani. Non a caso siamo tra i paesi con meno donne parlamentari e in assoluto il paese con meno donne ministro fra gli omologhi europei. Non a caso la nostra televisione a reti unificate promuove un solo e unico modello femminile che prevede quando necessario (quasi sempre) la plastificazione del corpo, la soppressione del volto (ridotto a elemento secondario della personalità), il divieto d’invecchiare. Che poi ne derivi anche il lifting alla rappresentanza politica, con apprendistato nei festini di via del Plebiscito o, più di recente, pure con il “casting” effettuato da Di Pietro tramite il settimanale “Gioia”, a me pare una conseguenza inevitabile. Di mezzo ci sta l’uso privato delle professioniste dello spettacolo che entrano in tv passando le forche caudine della proprietà e del potere politico, generando periodiche Vallettopoli alla quali ci siamo assuefatti. Altrove nel mondo progredito suonerebbe l’ora della rivolta in nome di una dignità da difendere. Da noi invece suona coraggiosa perfino la voce di una nonna residente a Macherio che brontola di tanto in tanto senza mai trarne le conseguenze.