Il viaggio del papa, l’azzardo di Obama

sabato, 9 maggio 2009

Questo articolo è uscito su “Nigrizia”.
In attesa di commentare il viaggio di Benedetto XVI in Israele, e di confrontarlo con il pellegrinaggio giubilare del suo predecessore nel 2000, mi chiedo se la Chiesa di Roma riuscirà ad assumere un ruolo dinamico alla ricerca di nuovi equilibri internazionali. Il suo ruolo non va sottovalutato neppure sul piano diplomatico, di fronte alla novità rappresentata dalla politica estera di Obama, così diversa da quella del suo predecessore.
Lo schema conflittuale Occidente-Islam pare davvero superato, almeno nelle intenzioni della Casa Bianca. Tanto meno regge l’idea di una contrapposizione ideologica fra cristianità e islam. Su questo punto il presidente Usa ha assunto una posizione talmente esplicita da sollevare le prime critiche esplicite da parte dei suoi avversari, sia in casa che tra gli alleati Nato.
Obama vuole la Turchia dentro all’Unione Europea, saggiamente mi viene da aggiungere. Il Vaticano esprimerà una posizione in merito?
Obama offre all’Iran una trattativa a tutto campo, senza precondizioni. Ciò suscita diffidenze in Israele e tra i regimi islamici sunniti, ma rende perseguibile il sogno di una stabilizzazione dell’intera regione circostante. Anche se le speranze restano appese a un filo. In Siria, in Libano e anche a Gaza ciò potrebbe avere delle conseguenze politiche imprevedibili. Verranno incoraggiate o prevarrà l’idea del nemico inconciliabile?
Poi c’è la revisione della politica di sanzioni a Cuba, e qui bisogna pur ricordare che la Chiesa cattolica ha agito da battistrada.
E’ evidente che la linea distensiva di Obama lo espone a rischi formidabili. Viene accusata di debolezza, di rinuncia all’esercizio della superiorità militare statunitense, addirittura di tradimento delle potenze regionali filo-occidentali. Basterebbe uno sciagurato incidente, una recrudescenza del terrorismo, un patatrac fra il Pakistan e l’Afghanistan, per mandare tutto in pezzi. Esilissimo è il filo della distensione internazionale, condizionata oltretutto dalla penuria di risorse esasperata dalla recessione mondiale (a me pare solo di maniera l’ottimismo di chi insiste a considerare prossima l’uscita dal tunnel della crisi).
Rischia tantissimo, Obama, non a caso già accusato d’inettitudine. Eppure la sua pare una scelta quasi obbligata: sperimentare una vera alternativa lungimirante a un progetto di egemonia planetaria fondato su rapporti di forza rivelatisi illusori. Trovo ammirevole che egli si esponga tanto, incurante di apparire fragile. Mi auguro che trovi sostenitori in questo azzardo, e immagino che la Chiesa cattolica possa trarne alimento per rafforzare una visione profetica, non rassegnata, delle relazioni internazionali.

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