Una saggia proposta per Lampedusa

venerdì, 22 maggio 2009

Riporto dal sito www.pietroichino.it questo dialogo immaginario di Pietro Ichino che affronta con fantasia e saggezza il tema dell’immigrazione dall’Africa.

Dialogo tra Gianni Ercadolli, alto funzionario del ministero degli Interni, e Amina Nitolibar, figlia di una somala e di un indiano, osservatrice dell’Unione Africana in visita a Lampedusa (premio per il lettore che scoprirà per primo i due personaggi che si nascondono sotto questi due nomi)
Ercadolli – Che differenza fa lei tra respingere l’immigrazione clandestina con un battello della Guardia costiera fuori delle acque territoriali, come da qualche giorno facciamo noi, e respingerla con un muro orlato dal filo spinato, come fanno tutti i Paesi di questo mondo sui confini terrestri caldi, senza che l’ONU abbia niente da ridire?
Nitolibar – Sul piano sostanziale, nessuna: su questo punto le do ragione. Ma il modo migliore per evitare i barconi irregolari resta quello di mettere un bel traghetto regolare dalla Libia a Lampedusa, a prezzo politico. E uno anche dalla Tunisia.
E. – Un traghetto??
N. – Vista la sua posizione geografica, potreste fare di Lampedusa una enclave extra-territoriale, magari mettendoci un bel Casinò per attirare i ricchi libici e tunisini. Il terminal del traghetto in Africa potrebbe diventare luogo di accertamento, accreditamento e prima accoglienza per chi ha diritto a entrare in Italia come profugo o rifugiato. Ma sul traghetto possono salire tutti, in modo che non abbiano motivo di affidarsi agli scafisti.
E. – E il controllo passaporti?
N. – Si passa il controllo passaporti soltanto per andare da Lampedusa alla Sicilia o ad altre destinazioni in area Shengen.
E. – In questo modo che cosa risolveremmo? Avremmo Lampedusa brulicante di immigrati irregolari e i barconi strapieni di africani si sposterebbero sul tratto di mare fra Lampedusa e la Sicilia.
N. – No, perché quelli che vogliono entrare in Italia irregolarmente non avranno più alcun interesse a venire a Lampedusa.
E. – Quello sarà comunque il primo passo, che il traghetto renderà facilissimo.
N. – Ma non potranno fare il passo ulteriore. Da Lampedusa alla Sicilia ci sono 205 chilometri di mare, quasi il doppio della distanza tra Lampedusa e la costa africana: 113 chilometri. E comunque mancherebbero i mezzi di trasporto.
E. – Cosa vuol dire?
N. – Che a Lampedusa non ci sarà nessuno a vendere barconi “usa e getta” ai disperati. E se anche ci fosse qualcuno interessato a farlo, sarebbe facilissimo impedirlo, o comunque impedire la partenza dei barconi. D’altra parte, la traversata diretta dall’Africa alla Sicilia è enormemente più difficile.
E. – Ci saranno sempre quelli che la tenteranno.
N. – Ma saranno una piccola parte di quelli che oggi tentano l’approdo a Lampedusa.
E. – Comunque non risolveremmo molto: quelli che arrivano coi barconi costituiscono soltanto un settimo del flusso di immigrazione irregolare in Italia.
N. – Ma quello è praticamente l’unico canale dell’immigrazione irregolare diretta dall’Africa. Gli altri flussi attraversano le frontiere terrestri: lì i problemi di controllo sono diversi e coinvolgono anche il comportamento dei Paesi vostri confinanti.
E. – Non credo che i seimila abitanti italiani di Lampedusa saranno molto d’accordo con questa sua idea.
N. – Perché no? Avranno anche loro un grosso beneficio: extraterritorialità significherà esenzione dalle imposte nazionali per i residenti.
E. – Lei non fa i conti con quello che accadrebbe nella prima fase: nel tempo necessario perché in Africa i disperati si accorgano che Lampedusa non è più la porta d’accesso all’Italia, essi continueranno ad arrivare come oggi, al ritmo di centinaia ogni settimana. Anzi: più di oggi, perché avranno a disposizione il traghetto.
N. – Almeno ci arriveranno in condizioni civili e in piena sicurezza. Oggi ne muoiono in mare a decine, se non centinaia. E consideri che metà di quelli che arrivano hanno diritto di entrare, come profughi o come rifugiati: quelli, sì, devono essere trasportati gratis sul continente.
E. – E gli altri? Le leggi vanno applicate: se non hanno diritto di entrare non li si deve lasciar entrare.
N. – A quelli dei quali avete bisogno, e sono tanti, potreste dare sperimentalmente un permesso per ricerca del posto di lavoro, anche sottoponendone i movimenti a stretto controllo, o chiedendo la garanzia di un tutor: i modi per farlo sono molti. E converrebbe soprattutto a voi. Via via che l’esperimento si rivela positivo, potreste estenderlo mettendo a punto le procedure. Agli altri, invece, se davvero non ritenete che possano lavorare in Italia, continuerete a dare da coprirsi, da dormire e da mangiare; ma non dovete essere schizofrenici.
E. – Schizofrenici?
N. – Sì. Oppure, se preferisce, ipocritamente pietosi e allo stesso tempo irrazionalmente spietati.
E. – Che cosa intende dire?
N. – Prima fate loro rischiare la vita sui barconi per arrivare a Lampedusa; poi, quando ci arrivano, siete voi stessi a trasferirli comodamente nella vostra terra col ponte aereo. Una volta arrivati, li recludete per mesi in condizioni disumane, poi li liberate con la pantomima del provvedimento di “espulsione”. In realtà, liberandoli senza riconoscere loro il diritto di esistere, li condannate consapevolmente a vivere come sotto-uomini, schiavi, privi di qualsiasi diritto. Se proprio non li volete, dovreste proporre loro un buon lavoro in Africa: vi costerebbe molto meno.
E. – Un buon lavoro in Africa? Chi lo paga, chi lo organizza?
N. – Occorrono molti gemellaggi tra Nord e Sud del mondo: tra città e città, tra ospedali e ospedali, tra scuole e scuole, anche tra famiglie e famiglie: per istituire una miriade di canali di aiuto economico e culturale, di trasferimento di buone pratiche. Se finalmente attivassimo questi gemellaggi in modo capillare, non sarebbe così difficile creare occasioni di lavoro interessanti in Africa, nei Paesi d’origine degli immigrati clandestini, con costi molto contenuti per i “gemelli” europei.
E. – In molti casi in Africa è la situazione locale, a impedire qualsiasi cooperazione. Sovente lo stesso establishment non ne vuol sapere. Pensi a Somalia ed Eritrea, oppure al Darfour.
N. – Ma in molti altri casi si può, eccome. E gli irregolari possono diventare una fonte preziosa di informazione sulle situazioni di emergenza. Quelli che arrivano da voi sono in genere i migliori del loro Paese di origine: i più colti, i più intraprendenti, i più capaci di guardare lontano. Potreste farne dei veri e propri “ufficiali di collegamento” tra voi e le realtà locali del sud del mondo; e impegnarli a lavorare per il riscatto di quelle realtà.
E. – E quelli di cui non si riesce neppure a capire la vera provenienza? Guardi che sono la maggior parte dei clandestini senza diritto di asilo.
N. – Con chi mente dovete essere rigorosi. La vostra deve essere un’offerta di aiuto reale, ma sulla base di un dialogo leale. A chi non si fa identificare correttamente, non si deve offrire niente; men che meno il passaggio gratis sulla tratta più lunga e difficile, quella da Lampedusa al continente.
E. – In sostanza lei propone che erigiamo un muro fra Lampedusa e il resto d’Italia.
N. – Ripeto: voi con loro alternate compassione e spietatezza, ma sempre in modo irrazionale. Che senso ha aumentare da due a sei mesi il periodo di detenzione degli irregolari nei vostri “Centri di identificazione”, che sono già oggi strapieni, senza triplicare la loro capacità? Dove pensate di ammassare i due terzi in più degli irregolari che con la nuova legge volete mantenere in detenzione?
E. – In qualche modo dobbiamo pure intensificare il filtro contro l’immigrazione irregolare. Non è politicamente pensabile che né l’Italia né l’Europa spalanchino le porte all’invasione.
N. – Proprio per questo l’Europa deve ingaggiarli perché lavorino nelle loro terre di origine. Consideri questo dato: anche senza tenere conto degli irregolari che tenete rinchiusi nei C.I.E., nelle vostre carceri circa un terzo dei 62.000 detenuti sono immigrati africani irregolari. In carcere, ciascuno di questi vi costa 200 euro al giorno. Non sarebbe meglio, con la stessa spesa che sostenete per un solo carcerato extracomunitario, dare a trenta di loro 200 euro al mese – uno stipendio di lusso, nell’Africa sub sahariana! per farli lavorare al loro Paese in un programma di sviluppo?
E. – Certo, ma se questi in Italia delinquono, dobbiamo pur metterli in prigione.
N. – Finora, da Lampedusa siete stati voi a portarli sul continente e subito dopo a porli in una condizione che è inevitabilmente a forte rischio di delinquenza. La vostra generosità – se ne avete davvero – dovrebbe essere spesa nell’assistenza di cui questi disperati hanno bisogno a casa loro. E invece lì non state neppure mantenendo i modesti impegni che avete preso.
E. – Quali impegni?
N. – Quello di destinare ai Paesi in via di sviluppo lo 0,7 per cento del vostro prodotto nazionale lordo. Di fatto, dall’anno scorso avete azzerato questo impegno: siete rimasti allo 0,02 per cento! E invece dovreste portarlo almeno all’uno per cento.
E. – Sarebbe comunque una goccia nell’oceano. Loro sono troppi: non ce la faremo mai.
N. – Non è vero. Gli africani sono 930 milioni; però i più poveri, quelli dei Paesi che alimentano l’immigrazione clandestina, sono circa la metà. Tra Europa e America settentrionale, siete molti di più voi. E ciascuno di voi guadagna cento volte quel che guadagnano loro.
E. – Occorrerebbe che noi “nord-occidentali” diventassimo da un giorno all’altro tutti altruisti.
N. – No: basterebbe, da parte vostra, un po’ di egoismo lungimirante. Lo sviluppo di quei Paesi, la riduzione delle enormi disuguaglianze che vi dividono dai loro abitanti, è il solo modo realistico per ridurre e controllare il fenomeno epocale della migrazione dal Sud al Nord del mondo. Operare efficacemente per quello sviluppo non è, da parte vostra, un atto di altruismo, ma una scelta sempre più indispensabile per il vostro stesso benessere futuro.
E. – È difficile, in questo momento di recessione e di aumento del debito pubblico, chiedere altri soldi ai contribuenti per lo sviluppo dell’Africa.
N. – Allora rassegnatevi all’invasione. Alternative non ce ne sono. Il nostro mondo è uno solo ed è sempre meno possibile dividerlo in compartimenti stagni.
Pietro Ichino

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