Rostagno e Pansa, tredici anni dopo

lunedì, 25 maggio 2009

Ora che la matrice mafiosa dell’omicidio di Mauro Rostagno è definitivamente riconosciuta da tutti, è interessante rievocare anche le calunnie e i pregiudizi di cui questo nostro caro compagno fu vittima solo perchè tra i fondatori di Lotta Continua. Per questo vi ripropongo un articolo da me pubblicato su “La Stampa” il 27 luglio 1996.

Sull'”Espresso” di questa settimana Giampaolo Pansa – gratificandomi
di una polemica citazione – rivolge un appello agli ex militanti di
Lotta continua affinché dicano tutto quello che sanno sul delitto
Rostagno (un omicidio perpetrato nel 1988, cioè dodici anni dopo lo
scioglimento della medesima Lc). E il Corriere della Sera ne
approfitta per anticipare la richiesta sotto il titolo insinuante e
ostile: Pansa e i compagni presuntuosi: perché Lerner non parla?.
Sarebbe lecito chiedersi perché Pansa non abbia pensato di
rivolgersi direttamente al suo direttore, Claudio Rinaldi, che se non
altro per ragioni anagrafiche ha conosciuto Mauro Rostagno prima e
ben più a fondo di quanto non abbia potuto conoscerlo io. Ma il
perché si evince dalla lettura: sono stato prescelto come bersaglio
non in quanto protagonista delle vicende dell’epoca, bensì come
protagonista di una ruggine con Pansa risalente a diciassette anni
fa. Tanto basta a chiamarmi testimone di una morte tragica e oscura.
Cito questo episodio sgradevole ma marginale, perché spiega bene la
grande confusione ricorrente ogni volta che si affronta la vicenda
così tipicamente italiana di Lotta continua, circondata di rancori e
domande, costellata di sospetti e colpi bassi, capace di evocare
insieme Curcio e Craxi, Pasolini e Berlusconi, attraversando le
periferie più disperate e i salotti del potere di carta. In forme
certamente non così grevi, lo afferma anche Indro Montanelli:
quarantenni e cinquantenni divenuti nel frattempo rispettabili
senatori, deputati, scrittori, giornalisti, ancor oggi innalzerebbero
tutti insieme un muro d’omertà non tanto intorno a Rostagno, quanto
intorno a Lotta continua
.
Dunque una lobby di Lc sopravviverebbe vent’anni dopo. Più
indulgente, il vecchio comunista Emanuele Macaluso evoca il concetto
di solidarietà: Succede alle associazioni che vivono a cavallo
tra legalità e illegalità
. Ma se invece proprio di lobby si
trattasse? Proviamo a immaginarci le sue finalità: qualche decina di
maturi professionisti, operai, intellettuali, divisi ormai dai
destini più disparati, si ricompatterebbero nella copertura di un
segreto oscuro assai nocivo alle rispettive carriere, cioè la natura
criminale della propria militanza giovanile. Ecco cosa rende
doppiamente odioso il sospetto, irradiato tutto attorno al processo
per l’omicidio del commissario Luigi Calabresi: questi di Lc non solo
se la sono cavata, ma hanno pure fatto carriera e magari
intrallazzato coi poteri che avevano combattuto. Ma andiamo avanti
secondo logica. Perché mai la lobby dovrebbe nascondere qualcosa
anche riguardo al delitto Rostagno? L’unica spiegazione, aberrante,
sarebbe che ad uccidere Rostagno fosse stato un emissario della lobby
medesima, magari per tappargli la bocca in relazione al delitto
Calabresi avvenuto quattordici anni prima. Non bastasse il buon
senso, anche la procura di Trapani definisce infondata tale ipotesi.
Caro Montanelli, in tutta coscienza credo che non solo il
sottoscritto, ma anche il direttore del tuo giornale, Paolo Mieli, e
ancora i vari Rinaldi, Deaglio, Briglia, Liguori e quant’altri della
generazione del Sessantotto abbia intrapreso la tua stessa
professione, possiamo guardarti in faccia e risponderti: violenza in
quegli anni ne è stata predicata ed esercitata tanta, troppa;
stupidaggini se ne sono dette a caterve, in mezzo a denunce e
proteste sacrosante; ma fummo nemici della lotta armata e quel nostro
movimento non si macchiò né di fatti di sangue né di atti
infamanti. Ciò che ci consente di portare con dignità
quell’indelebile etichetta di ex senza bisogno di rinnegare il
passato. Tanto tempo è trascorso da allora, e ciascuno con quel
passato si misura ormai individualmente, traendone il proprio
personale bilancio. Così deve essere, smettendola di cercare lo
scheletro che non c’è nell’armadio dei conflitti degli Anni
Settanta. Il discorso potrebbe chiudersi qui, vista la mia totale
ignoranza riguardo alle indagini trapanesi e visto che ho visitato la
comunità Saman una sola volta in vita mia, nella triste circostanza
dei funerali di Mauro Rostagno. Ma non avremmo ancora risposto al
perché susciti tanto clamore e fastidio il tragitto successivo degli
ex di Lotta continua, fino a ipotizzare l’esistenza di una lobby
nell’Italia degli Anni Ottanta e Novanta. Passata l’epoca
dell’estremismo (ma in questo Paese, non dimentichiamolo, furono
estremisti perfino certi apparati dello Stato), di Lotta continua si
è probabilmente evidenziato un altro tipico tratto italiano: la
spregiudicatezza. Quella stessa spregiudicatezza culturale che negli
Anni Settanta aveva consentito a Sofri, Viale, Rostagno di rompere le
incrostazioni dogmatiche della sinistra ufficiale e di rappresentare
meglio di altri i nuovi movimenti di lotta, negli anni successivi si
sarebbe rivelata allo stato puro. Alcuni tra i primissimi passaggi,
feci in tempo a viverli subito prima di lasciare il giornalismo
militante. Era il 1978 e avevo ventitrè anni quando Claudio Martelli
invitò a cena me e Luigi Manconi. Si parlava della comune avversione
all’unità nazionale del governo Andreotti, della necessità di una
sinistra libertaria autonoma dal pci. All’epoca, ricordo bene, io e
Manconi ci premurammo di suddividere e pagare ciascuno il suo conto
del ristorante. Ma successivamente Deaglio e Sofri, riuniti da
sodalizio intellettuale con Martelli e Giuliano Ferrara, si fecero
pagare dai socialisti non una cena ma addirittura un giornale:
. La convinzione è sempre quella che la propria
brillantezza intellettuale sia tale da prevalere sull’innaturalità
dei partner acquisiti. Siamo i più intelligenti e puri, dunque
possiamo anche intrecciare rapporti disinvolti. Sciolta ormai da ogni
legame sociale, tale spregiudicatezza avrebbe consentito a Paolo
Liguori di dirigere Il Sabato dell’andreottiano Sbardella e poi il
berlusconiano Studio aperto, teorizzando che ciò avvenisse in
coerenza con le battaglie di gioventù. E Nini Briglia poteva
partecipare alle riunioni di Arcore in cui fu definito il progetto di
Forza Italia quasi che il suo potesse considerarsi un apporto
puramente tecnico. Naturalmente la maggior parte degli ex militanti
di Lotta continua aveva nel frattempo fatto scelte politiche e di
vita di tutt’altro genere, che però non facevano notizia nella loro
prevedibilità: operai divenuti sindacalisti, militanti rientrati nei
ranghi della sinistra storica, professionisti impegnati nel
volontariato, imprenditori di un qualche successo. Certo, anche
Rostagno era spregiudicato, nelle relazioni private come nelle
mistiche vocazioni pubbliche, e lo dimostra anche la sua scelta di
accompagnarsi all’ambiguo ma facoltoso Francesco Cardella. Solo che
la sua spregiudicatezza si esprimeva lontano dal potere, in ciò più
vicina all’intransigenza di Alexander Langer, di Marco Lombardo
Radice, di Goffredo Fofi. Quando su tali avventurosi itinerari
culturali si abbatterà l’accusa infamante dell’omicidio Calabresi,
nell’opinione pubblica un impianto ostile era già naturalmente
predisposto: non solo compagni presuntuosi e male accompagnati, ma
anche assassini. Ben oltre le ambigue risultanze processuali, il
teorema inverosimile di una Lotta continua ridotta da movimento a
banda armata consolidava la propria suggestione ricercando conferma
nell’antipatia dei comportamenti successivi dei suoi leader. A ciò
contribuisce potentemente un altro carattere tipicamente italiano che
si ritrova dentro Lotta continua così come dentro altre esperienze
di grande impatto esistenziale per chi le ha vissute, soprattutto se
da giovane: il narcisismo. All’analisi del sangue mi restano poche
tracce di affetto verso quelli che un tempo portarono il nome
insolente di Lotta continua
, ha dichiarato Erri De Luca, scrittore e
autodidatta traduttore della Bibbia, mutando repentinamente in
disgusto la sua assoluta devozione di un tempo al movimento fondato
da Sofri. Oggi che tiene una rubrica quotidiana sulla prima pagina
del giornale cattolico Avvenire, il bilancio di quella militanza è
non solo liquidatorio, ma puramente estetico, agonistico: …Ho
smaltito la mia intera compassione politica in Lotta continua e solo
quando si è sciolta, nel ’76, ho cominciato a fare vita di operaio.
Avevo ventisette anni allora e da un punto di vista fisico provenivo
dagli allenamenti su strada, dai lanci di pietre e bottiglie, non dal
sollevamento pesi. Venivo dall’atletica leggera
. Così scrive su
Micromega, descrivendo la sua scelta di fare il muratore, e se per
lui Lotta continua si riassumeva caricaturalmente in quegli scontri
fisici con la polizia, allora non può neppure sorprenderci che –
sempre su Micromega – lo stesso De Luca abbia poi proclamato:
Chiunque di noi di quel tempo avrebbe potuto uccidere il commissario
Calabresi
. Troppo facile liquidare la sortita di De Luca per la sua
palese infondatezza (non è affatto vero che chiunque di noi avrebbe
potuto uccidere chicchessia, naturalmente, mentre è vero purtroppo
che ci fu chi dalle nostre file passò alla lotta armata e uccise).
Essa racchiude la testimonianza – sincera e dunque inquietante – di
una milizia politica vissuta come puro gesto, autorappresentazione
estetizzante. Ciò che spiega perché dentro l’esperienza di tanti
giovani, a sinistra come a destra, la violenza abbia ripreso il
sopravvento negli Anni Settanta quando ormai la guerra civile era
finita da più di vent’anni. Il prolungarsi di queste forme di estasi
narcisistica fin dentro gli anni del riflusso e della maturità, non
ha certo giovato agli ex incapaci di liberarsene, né alla
popolarità della categoria tutta. Ma tutto questo, diciamocelo
infine, che cosa c’entra con l’efferato delitto maturato nel 1988 in
una comunità per il recupero dei tossicodipendenti, luogo insieme
benedetto e maledetto, sede di generosità assolute e violenze
psico-fisiche, crocevia di operatori pazienti e di avventurieri
ribaldi? Riportiamo a Saman, al lavoro dei magistrati e degli
avvocati, al dramma della Chicca Roveri in carcere proclamandosi
innocente, alla solidarietà dei suoi amici, ai dubbi che circondano
la figura del fuggiasco Cardella, insomma riportiamo alle misure
della sua triste realtà il delitto Rostagno. Lasciamo stare Lotta
continua, la sua lobby maldestra e il suo peccato d’origine
immaginario. Caro Montanelli, spero di non averti deluso perché con
ciò ho detto davvero tutto quello che so. Ci sono già tanti misteri
nella storia italiana che non è il caso di inventarcene dei nuovi.
Gad Lerner

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