Sul referendum almeno dite la verità

martedì, 26 maggio 2009

Pubblico volentieri questa lettera di Mario Segni uscita sul “Corriere della Sera”, perchè a mio avviso fa giustizia di molte inesattezze sul referendum elettorale del 21 giugno prossimo. Chi ha nostalgia del sistema proporzionale e della Prima Repubblica dovrebbe dichiararlo apertamente, spiegando perchè ciò gioverebbe all’Italia.
Caro Direttore,
Oscar Luigi Scalfaro si è aggiunto a quel pezzo della sinistra che conduce una dura campagna contro il referendum, che farebbe un regalo a Berlusconi, consentendogli di prendere col 40% dei voti il 55% dei seggi in Parlamento. E il referendum sarebbe quindi un «attentato alla democrazia».

La risposta è semplice. Questo risultato può avvenire già oggi, con la legge elettorale vigente. Il referendum agisce su altri piani, ma non sul premio di maggioranza. Con le percentuali che indicano i sondaggi, il Pdl può fare già oggi, anche senza la Lega, liste da solo e prendere la maggioranza assoluta. Non ha alcun bisogno del referendum.

Ma prendere la maggioranza in Parlamento con il 40% dei voti è un «attentato alla democrazia »? Nelle democrazie anglosassoni (e non solo) questo è normale. La Thatcher e Blair hanno sempre governato con queste percentuali e nel 2005 Tony Blair ottenne, con il 35,3% dei voti, 356 deputati, contro i 260 di tutte le opposizioni. In Gran Bretagna non vi è più democrazia? Del resto fu proprio la sinistra italiana a proporre per anni «il modello Westminster». Verrebbe da dire: signori, non ve ne eravate accorti?

Ma dietro questa campagna vi è una stra¬tegia che va ben oltre il referendum. Se la motivazione di Di Pietro è chiaramente furbesca (rubare qualche voto al Pd) quella di altre personalità, da Scalfaro, a Chiti agli intellettuali di Giustizia e Libertà, è strategica: è un ripensamento sul maggioritario e sul bipolarismo, è la volontà di tornare al proporzionale e alla politica delle mani libere, ai governi fatti e disfatti in Parlamento dai partiti: in altre parole di tornare alla Prima Repubblica. E Chiti propone infatti una riforma che abolisce tout court il premio di maggioranza e torna così al sistema precedente il referendum del 93.

Alla base di questo vi è, tristemente, la ri¬nuncia a sfidare Berlusconi, a costruire una alternativa che un giorno possa batterlo, limitarsi a un istinto di sopravvivenza. Se infatti l’obiettivo fosse altro si dovrebbero aiutare tutte le riforme, come quella referendaria, che spingono alla aggregazione, che diminuiscono i pericoli di ulteriori fratture. Si dimentica che con Reagan e Thatcher i democratici e i laburisti erano in condizioni drammatiche e proprio il maggioritario ha consentito loro di costruire una alternativa vincente.

Ma vi è una conseguenza più grave che non riguarda una parte politica, ma l’Italia. Tornare ai governi deboli e alle maggioranze variabili significa abbandonare la speranza di una guida politica forte, in grado di affrontare le grandi riforme, rassegnarsi a una politica immobile che mantiene immobile il Paese, con le ingessature e gli affanni che abbiamo davanti. È la politica più immobilista e più conservatrice che esista. È legittimo perseguirla, per carità, ma non travestiamola in un eroico tentativo si sventare un attentato alla democrazia.
Mario Segni
Comitato promotore del referendum (msegni@tin.it)

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