Che bella Italia libertina e clericale

mercoledì, 3 giugno 2009

Questo articolo è uscito su “Vanity Fair”.Le peggiori nemiche di Veronica Lario sono le donne italiane rassegnate al diktat secondo cui per fare carriera bisogna adeguarsi all’immaginario femminile del padrone. Là dove il tacco a spillo (che io adoro, sia ben chiaro, quando indossato con sapienza) da gioco seduttivo si riduce a strumento d’ordinanza per farsi notare trafelata in Parlamento. Auguro alla delatrice Santanchè, protagonista dell’affondo contro la moglie del padrone, un compagno che sappia apprezzarla pure senza corazza o quando le fanno male le caviglie.
Ma alle sue grossolanità ci eravamo abituati. Mi colpisce di più la contraddizione del signor Letizia, padre di una ragazzina incoraggiata a farsi fotografare nelle pose più volgari salvo proclamarne sui giornali con parola d’altri tempi l’illibatezza. Mi direte che non è una novità questa doppiezza dell’Italia libertina e clericale al tempo stesso. Ma quando sento parlare suo padre di Noemi illibata (illibata letteralmente vuol dire non ancora data in pasto) davvero penso a quanto poco conti quel mezzo centimetro di cartilagine. Brutalmente, vorrei che fosse a noi tutti chiaro lo sverginamento per altre vie cui stiamo assistendo.
Ci sentiamo più sporchi, a furia di rispecchiarci nello stile di vita del padrone d’Italia. Chi lo apprezza politicamente tende a minimizzare le sue responsabilità rilevando che sono un esercito le ragazze autorizzate dai genitori a far professione del proprio corpo. Oppure citando gli altri imprenditori italiani d’età avanzata che convocavano a letto giovani donne di spettacolo. Aggiungendo che tutto il mondo è paese, il fascino del potere è stato usato da chissà quanti altri presidenti per collezionare amanti. Sarà, ma non abbiamo bisogno di misurare quanto piccanti fossero gli incontri berlusconiani con le lolite per provare disagio. Le feste ci piacciono, il gioco del corteggiamento erotico ancor di più, ma questo continuo Satyricon di marca televisiva che ammorba le nostre istituzioni mescolandole a giochetti da bordello, è qualcosa che evoca piuttosto il dittatore ugandese Bokassa che la spensierata Casa Bianca di Kennedy. Chi partecipa di tale sistema faticherà a comprenderlo.
Basti pensare a “Libero” di Vittorio Feltri che ha confezionato lo scoop della povera taccuta Santanchè sul compagno di Veronica, dopo averla tacciata di “velina ingrata” (tesi dimostrata dal fatto che pure lei mostrò il seno in pubblico, la svergognata!) e dopo aver diffuso fascicoli sulla vita di Berlusconi paragonabili solo ai documentari fascisti dell’Istituto Luce. Riducono la questione all’adulterio, fermi con la testa al “Divorzio all’italiana” di mezzo secolo fa. Come se qui il problema fosse di fare pari e patta fra i tradimenti del marito e quelli della moglie. Intrisi come sono di misoginia, neppure gli viene in mente che il pari e patta non funzionerebbe neppure se Veronica convocasse a Macherio decine di tronisti per volta, strizzando l’occhio alle donne italiane per farne complici invidiose delle sue conquiste, maschi sottomessi omaggiati –chessò- da uno scoiattolino di strass a testa.
Quand’anche così fosse, la signora Veronica Lario mica fa di mestiere il presidente del consiglio.
Confido che il linciaggio cui viene oggi sottoposta perché colpevole di avere incrinato lo specchio dell’ipocrisia, dicendo verità una dopo l’altra confermate (la frequentazione di minorenni, la selezione capricciosa di veline in politica, il linguaggio offensivo della dignità femminile, l’abuso di potere a fini di piacere personale), faccia riflettere le donne italiane. Davvero pensano che al suo posto sarebbero state più felici tacendo?

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