Lo stop di Fini allo show di Gheddafi

sabato, 13 giugno 2009

Questo articolo è uscito su “Repubblica”.
Se l’amico Putin, un anno fa, venne accolto con uno spettacolo privato del Bagaglino, diciamo che a Gheddafi il governo italiano ha preferito lasciare mano libera. Lo spettacolo di varietà l´ha garantito il colonnello-dittatore libico, fino a che il presidente della Camera ha opportunamente provveduto a dire basta.
La storia si è intrecciata con la farsa, come ormai succede troppo spesso in Italia. Solo il freno imposto dall´opposizione aveva evitato giovedì che la seconda carica dello Stato spalancasse a Gheddafi l´aula del Senato come tribuna per la sua analogia fra terrorismo e democrazia americana. L´ospite nel frattempo ha pensato di colonizzare simbolicamente Roma, la capitale degli eredi dei suoi colonizzatori, imponendo un protocollo che l´inquilino di Palazzo Chigi ha deciso di tollerare solo per il suo ben noto, eccesso amore per lo show. Che di mezzo ci fosse anche un problema di dignità istituzionale, è passato decisamente in cavalleria.
A vederli accanto nelle foto ufficiali, questi due leader improbabili, parevano una coppia mediterranea di maschere bisognose di legittimazione, tra il mito delle amazzoni e quello delle veline.
Ma a rendere così eccessivamente solleciti Berlusconi e i suoi ministri nei confronti dell´ospite libico, non è stato certo il tardivo senso di colpa per le malefatte di Graziani in Tripolitania. Gli stessi leader abituati a liquidarlo come selvaggio beduino fino a ieri, oggi gli riservano tutti gli onori illudendosi che possa essere Gheddafi a tamponare per conto loro il flusso migratorio dall´Africa all´Europa. Dopo di che funziona sempre il mito del vicino arabo, ricco come Creso, chiamato in soccorso delle nostre imprese in difficoltà, passando attraverso il mediatore di turno, che stavolta è pure socio d´affari del premier (Tarek Ben Ammar). Mentre la questione più delicata -cioè il rifornimento energetico- per fortuna è appaltata alla diplomazia silenziosa ma efficiente dell´Eni.
Nel porre fine bruscamente alla colorita vacanza romana di Gheddafi, subito rientrato nei binari dell´etichetta motivando il ritardo di due ore con un malessere, Gianfranco Fini ha toccato due punti di sofferenza delle relazioni italo-libiche su cui il governo aveva deciso di sorvolare con disinvoltura.
Chiunque abbia letto il trattato d´amicizia sottoscritto fra Roma e Tripoli (e qui non importa se l´avessero già scritto così i ministri del centrosinistra, o se ciò riguardi Frattini e Maroni), al capitolo sulla collaborazione contro il traffico dei migranti irregolari non troverà neanche un cenno alla necessità di garantire i loro diritti umani. Vengono spersonalizzati, trattati come scorie da smaltire. Dove? Come? L´Italia se ne lava le mani e la Libia non fornisce chiarimenti al riguardo. Non a caso si è già fatta sentire la protesta delle Nazioni Unite sui respingimenti indiscriminati in mare aperto. Cui finora la Farnesina ha risposto solo ipotizzando che la selezione dei potenziali richiedenti asilo avvenga a bordo dei barconi stessi (!). Senza il minimo riferimento alle condizioni in cui i migranti vengono detenuti nei campi di raccolta che la Libia ha allestito nel deserto del Sahara.
La seconda questione affrontata da Fini è l´irritazione degli Stati Uniti per la forma sgangherata, dilettantesca e subalterna con cui l´alleato italiano ha ricevuto Gheddafi. Si badi bene, anche Obama è per il dialogo globale con l´islam e perfino con Teheran. Ma il modo sbracato in cui lo si è affrontato con Gheddafi a Roma, sognando affari stratosferici e chiudendo gli occhi sulle tensioni che permangono, fa venire alla Casa Bianca il dubbio che l´Italia di Berlusconi somigli troppo a una repubblica delle banane e troppo poco a un partner atlantico. La settimana prossima a Washington si preannuncia un esame severo della disinvoltura berlusconiana. Per questo anche il premier dovrebbe essere grato a Fini di avere frenato il caravanserraglio ieri sera.
In assenza di preparazione adeguata, la prossima volta è meglio che inviti Gheddafi a Villa Certosa, invece che a Roma. Sperando che non ci siano paparazzi a fotografarli.

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