Prima dichiara ai quattro venti che lui è solo un militante di base, non conta nulla, di modo che tutti possano ricordarne il proverbiale sarcasmo. Poi si mette a prospettare l’urgenza che il Pd si prepari a un governo di unità nazionale, nel caso di crollo psico-politico di Berlusconi. Così facendo Massimo D’Alema conferma la sua malaugurata vocazione all’intrigo che divide il suo fronte e insospettisce quello avversario.
Temo che D’Alema si senta ingiustamente discriminato, da qui la dissimulazione un po’ ipocrita con cui scherza sul suo scarso potere; mentre viceversa ritiene di detenere ancora la leadership reale dell’unico partito interiore cui resta (in parte) fedele, cioè quello frantumato delle varie anime ex-Pci. Ma soprattutto pensa davvero che le sue relazioni con Tremonti, Casini, Fini siano la politica. E che il Pd dovrebbe ricominciare di lì, dai giochi interni alla nomenclatura, perchè solo riacquistando più potere nel palazzo conseguirebbe maggiori consensi nell’elettorato. Alla fine gli torna sempre quel tic: “lasciate fare a noi professionisti”. Immemore dei danni già provocati, tra i quali è giusto ricordare anche il ribaltone del 1994. Deporre con una congiura di palazzo il primo governo Berlusconi (che sarebbe comunque caduto di lì a poco per manifesta inadeguatezza) è stato uno dei modi migliori per consolidare il rapporto fideistico tra il Cavaliere e il suo popolo di destra. Quest’oggi D’Alema viene in soccorso alla teoria del complotto illustrata a Santa Margherita Ligure. Speriamo che il Pd non gli dia retta mettendosi a litigare pro o contro la “grosse koalition”…
Chi dice D’Alema dice danno
domenica, 14 giugno 2009
Si parla di: Berlusconi, Casini, Fini, Massimo D'Alema, ribaltone del 1994, Tremonti, unità nazionale