Perchè dico no alla barbera “bastarda”

domenica, 19 luglio 2009

Il blog del bastardo si schiera decisamente contro i produttori della Barbera d’Asti che vorrebbero imbastardire il loro vino a denominazione d’origine controllata, autorizzandone il taglio con un 10 per cento di cabernet, merlot, syrah e pinot nero. Cioè con i vitigni alla moda del gusto internazionale omologato.
Entro in contradizione con me stesso? Niente affatto, e ve lo dimostrerò. Io non ho niente contro il meticciato dei vini, ovverosia la miscela tra vitigni diversi, detta in termini tecnici “uvaggio”. Ce ne sono di squisiti, quando la materia prima sia di qualità e l’accoppiamento sia valido. Ma l’importante è dichiararlo con trasparenza sull’etichetta. Devo sempre sapere cosa sto bevendo, e da dove vengono le diverse percentuali che compongono il prodotto finito. Insomma, noi bastardi siamo ottimi, ma non facciamo finta di essere puri e autentici frutti di un solo territorio.
Ha perfettamente ragione Slow Food che definisce suicida la proposta di contrastare la crisi della Barbera d’Asti, sofferta dai suoi 570 produttori, con la furbizia di una rinfrescatina “internazionale” tenuta nascosta al consumatore. E, con tutto il rispetto, tiro un sospiro di sollievo avendo io e il mio amico-socio-maestro Fabrizio Iuli rinunciato alla docg Barbera d’Asti cui pure avremmo avuto diritto in base alla collocazione delle nostro vigne. Perchè siamo esaremo sempre convinti che la forza della barbera stia nelle caratteristiche particolari del suo territorio, con le sue note di freschezza e acidità formidabili, avvilite nel passato da chi le volgarizzò facendone vinaccio da damigiana, frizzante e con la schiuma (bleah!).
Insomma, continueremo a fare la barbera in purezza, convinti oltretutto che quel gusto internazionale stia diventando la solita marmellata che ben presto stuferà i consumatori. E vincerà, vinceremo, chi al contrario insisterà nel riaffermare le caratteristiche specifiche di ciascun territorio e vitigno, la differenza dei sapori.
Chi punta sulla quantità invece che sulla qualità ha il pieno diritto di farlo, ma chiami i vini col vero nome di quel che ci mette dentro. Non li mascheri come false tipicità territoriali. Per intenderci: adoro il pinot nero. Ma il nostro ettaro di pinot nero lo imbottigliamo “da solo” per competere con i maestri borgognoni. E scommettiamo anche sul nebbiolo sebbene siamo nel Monferrato e non nelle Langhe, fiduciosi di vincere una sfida leale. Ma se mescoliamo il nostro nebbiolo con la nostra barbera nelle bottiglie del Malidea, con risultati eccellenti, beh, non lo facciamo certo di nascosto!

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