Cin cin, tra divieti e educazione alcolica

lunedì, 20 luglio 2009

Quando era bambino, mio nonno mi faceva intingere il dito indice nel suo delizioso bicchiere di “arak”. Così mi toglievo la curiosità e svaniva il gusto del proibito che promanava da quell’aperitivo. Da adulto, ho dovuto rintuzzare gli sfottò dei figli durante le cerimonie di mescita, sguardo, annusamento e assaggio di una bottiglia pregiata. Naturalmente avevano ragione loro a ridere, e avevo ragione io a dare importanza al buon vino. Mai gli è stato negato un goccio d’alcol. Da adolescenti sapevano già distinguere un cancherone da un prodotto passabile. Continuano a sfottermi, ma sono persone in grado di gestire la relazione con l’alcol.
Se facessi di mestiere il barista, eviterei di vendere una birra a giovani minori di 16 anni, guardandolo in faccia e dicendogli: “Ragazzo, fila”. Dunque non ho niente da ridire contro il divieto emanato dal sindaco Moratti a Milano, nè contro il coro dei suoi imitatori che adorano mostrarsi d’un colpo autoritari, a colpi di decreto. Facciano pure. Purchè sia chiaro che serve a poco. L’educazione è più faticosa dei divieti, ma è anche più divertente e istruttiva per chi se ne faccia carico. Il bello è che funziona, a differenza di una carta bollata appesa dietro il bancone di un pub.

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