L’Italia 2009 è un’America anni Cinquanta?

mercoledì, 29 luglio 2009

Questo articolo è uscito su “Vanity Fair”.
Si può parlar male di un libro Adelphi, e per giunta di successo? Certo mi incute timore riverenziale la sapienza di Roberto Calasso, deus ex machina di una casa editrice tanto prestigiosa. E a frenarmi, poi, c’è anche la gratitudine per i capolavori cui Adelphi negli anni mi ha sollecitato ad accostarmi, grazie al suo indiscusso marchio di qualità.
Solo questa estate, per dire, con imperdonabile ritardo, dei suoi tipi ho goduto il potente romanzo serbo “Migrazioni” di Milos Crnjanski; l’ennesima deliziosa puntata dell’opera omnia di George Simenon; per non parlare della riedizione accurata di “Vita e destino”, il racconto della tragedia novecentesca che renderà immortale Vasilij Grossman.
A suo tempo mi ero già entusiasmato per la “Versione di Barney” di Mordechai Richler, senza bisogno che Giuliano Ferrara la brandisse come dissacrazione del politically correct. E prima ancora, vogliamo parlare della serie dei Joseph Roth? Stavo dimenticando: in primavera ho trovato più che piacevole “Il giorno dell’indipendenza” di Letizia Muratori, storia italiana consigliabilissima anche sotto l’ombrellone, a testimonianza che Adelphi ci azzecca pure quando promuove tra i suoi eletti un cosiddetto “giovane autore”. Del resto, con i miei occhi ho visto la coda di pavone che spunta all’altolocato Guido Rossi, ogni qual volta un suo saggio viene edito in cotanta compagnia, al pari di Massimo Cacciari.
Qui freno l’insopportabile ostentazione del catalogo per arrivare al dunque della mia protesta: caro editore Adelphi, non mi piace quando ci prendi in giro. Ovverosia quando, sapendo benissimo che il tuo marchio nobilita ciò che pubblichi, ne approfitti per propinarci una vaccata come “Zia Mame” di Patrick Tennis, facendo per giunta scattare il passaparola dei parvenu con la bugia che leggerlo faccia fine.
Oh, naturalmente, se proprio volete, potete benissimo comprarlo (19,50 euro): è già in classifica tra i più venduti. Magari vi divertirete, come del resto ci si può divertire con la satira di un Roberto Gervaso, sì, quello del farfallino, l’autore italiano che a mio parere più si avvicina alo stile di “Zia Mame”.
Di sicuro continuerà a divertirsi Roberto Calasso, fregandosi le mani per il colpaccio. Ha riciclato come “chicca”, mezzo secolo dopo, una raccolta di storielle che furoreggiò negli Stati Uniti negli anni Cinquanta. Descrivendo una zia stramba, ricca e viziata che provvede a modo suo all’educazione del protagonista rimasto orfano. E, ciò facendo, impersona la caricatura del progressismo, spiritosamente demolito dall’autore che sciorina raffiche di luoghi comuni perbenisti sotto forma di caricatura. Enjoy, se vi piace la burla casereccia del buon conservatore che irride le nuove mode culturali e si rassicura definendo ebete l’altrui originalità. Se trovate sempre e comunque grottesca l’avanguardia culturale, e viziosi i suoi seguaci, e insopportabilmente privilegiate le signore che possono permettersi il lusso d’incapricciarsene. Per me la parte migliore di “Zia Mame” resterà la postfazione di Matteo Codignola che ci racconta i tormenti di chi si nascondeva dietro allo pseudonimo di Patrick Dennis, e come gli riuscisse perciò consolante menare per il naso il suo pubblico.
Perché questo è il punto che mi ha indotto a mettere per iscritto la protesta: considero un non lieto segno dei tempi che “Zia Mame”, una farsa sopracciò buona per vendere due milioni di copie agli americani benpensanti di una lontana epoca conformista, sia diventato il libro alla moda dell’Italia 2009. Spero che l’editore chic, se non altro, reinvesta gli incassi in pubblicazioni più ardite.

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