Vittorio Feltri e la guerra al “Corriere”

mercoledì, 5 agosto 2009

Questo articolo è uscito su “Vanity Fair”.
Il ritorno di Vittorio Feltri alla guida de “Il Giornale”, di cui era già stato direttore più di un decennio fa, conferma la tendenza al “reincarico”, tipica della politica italiana, che ormai ha contagiato pure l’editoria: “a volte ritornano”. Pardon, quasi sempre ritornano.
Il record è detenuto dal “Corriere della Sera”. Dopo avere ri-nominato direttore Paolo Mieli, gli editori di via Solferino si sono guardati intorno e hanno stabilito che la soluzione migliore, al momento di dargli il cambio, fosse ri-ri-nominare il suo già successore Ferruccio de Bortoli.
Naturalmente siamo tutti autorizzati a sorridere quando ri-leggiamo su quelle pagine editoriali in cui si auspica un sano ri-cambio delle classi dirigenti. Ma ai veterani è ri-chiesto altro: gestire da buoni padri di famiglia la fase dolorosa delle ristrutturazioni aziendali, cioè il taglio degli organici; e posizionare con affidabilità il giornale nel magma del nuovo potere italiano.
E loro perché accettano? Beh, deve essere fantastico. Io ogni tanto sogno la scena del giorno in cui farò di nuovo capolino nel corridoio della direzione del Tg1 da cui mi separai prematuramente, fissando negli occhi le solite facce e godendomi l’effetto che fa. Anche se lo so benissimo che le mia chances di tornare direttore del Tg1 sono oggi nettamente inferiori a quelle di Emilio Fede.
Giornalisticamente sono coetaneo degli amici ri-direttori (con Feltri litigo amabilmente tutte le sere su Radio Montecarlo) e ben comprendo la loro scelta. Perché affidarsi all’”usato sicuro” è tipico di una società che invecchia, d’accordo. Ma il blocco non penalizza solo i nuovi talenti che (forse) saprebbero modernizzarne alcuni prodotti. Interrompe anche il cursus honorum con cui il bravo ex direttore dovrebbe diventare qualcosa di più che un semplice ex.
Rinnovato quindi il mio in bocca al lupo a Feltri e de Bortoli, mi preparo ad assistere a una sfida cruenta, fra loro. Niente mi leva dalla testa, infatti, che se Berlusconi è riuscito a convincere Feltri a lasciare “Libero”, è solo per un progetto che da anni solletica le fantasie notturne dell’elegantone bergamasco: insidiare il primato del “Corriere della Sera”. In fondo ci provò invano anche Montanelli, confidando sullo spirito conservatore della borghesia lombarda che rappresenta buona parte del pubblico del “Corriere”. Solo che sono cambiati i tempi, rispetto all’esperimento montanelliano. Intanto Berlusconi, editore de “Il Giornale”, detiene oggi un potere straordinario; mentre l’establishment abbarbicato nel salotto buono di via Solferino è in affanno. Ma c’è di più: grazie anche al talento di Feltri, il principale rinnovatore del giornalismo di destra italiano, quel senso comune conservatore, politicamente scorretto, con le dovute spruzzatine reazionarie, si è diffuso assai, cambiando i gusti del pubblico.
Il “Corriere della Sera” ha pensato di correre ai ripari smorzando i toni antigovernativi, mostrando attenzione alla Lega, pubblicando qualche opinione di destra in più. Ma ho l’impressione che il Feltri corroborato dal Berlusca stia affilando gli artigli, confidando di poter evidenziare le contraddizioni interne e le difficoltà aziendali del “Corriere” di fronte alla vasta platea nordista. Voleranno botte da orbi perché Berlusconi, bisognoso di “militarizzare” l’informazione in una fase di difficoltà, è riuscito a ri-reclutare Feltri, vecchio “corrierista”, facendo leva sull’unico cruccio di una carriera felicissima: perché non mi hanno fatto direttore del “Corriere della Sera”? Se ne accorgeranno…

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