Le tre bugie di Renato Brunetta

mercoledì, 23 settembre 2009

Questo articolo è uscito su “Vanity Fair”.
Ciascuno di noi tende a darsi una visione eroica della propria biografia, sottolineandone i meriti rispetto ai vantaggi attribuiti agli altri. E’ umano. Vale anche per Berlusconi (“sono di gran lunga il miglior presidente del consiglio italiano in 150 anni di storia”) e per il suo ministro Renato Brunetta (“sono come la Cuccarini, il più amato dagli italiani”), pur così diversi fra loro: il primo è diventato in effetti molto ricco e potente, il secondo è soprattutto molto rumoroso.
Quando Renato Brunetta si scaglia contro “questa élite di merda che ha la puzza sotto il naso e ha pensato solo a far cadere il governo”, è utile ricordare la biografia che il ministro s’è voluto ritagliare su misura per i mass media: io sono un piccoletto che viene dal popolo, mio padre era venditore ambulante a Venezia, studiando ho surclassato i figli di papà, ma poi le camarille universitarie mi hanno tarpato la carriera, giro con la scorta perché i terroristi mi vogliono uccidere, sono così coraggioso che una volta ho sbattuto la porta in faccia pure a Berlusconi.
Dunque Brunetta, che aveva già finto d’indignarsi in tv con Daria Bignardi perché lei non pronunciava ammodo il nome del socialista Giacomo Brodolini, artefice dello Statuto dei lavoratori, tiene molto all’immagine di tribuno della plebe. Inelegante ma meritevole, spiccio ma generoso. Peccato che il suo turpiloquio calcolato contro l’”élite di merda” nasconda non una ma ben tre bugie.
Prima bugia. Per tenore di vita, abitudine alle comodità, godimento di privilegi, Brunetta fa parte di quella élite da quando lo conosco, e sono ormai quasi vent’anni. Né più né meno di me. La smettesse di ostentare una diversità fasulla, lui è accoccolato da una vita nella classe dirigente contro cui si scaglia. E’ vero che nell’ambito dell’establishment ha occupato a lungo posizioni di seconda e terza fila; per questo, da quando è giunto in prima fila, non manca di fare “marameo” ai potenti che ha scavalcato. Ma perché dovremmo assumere come questione politica quello che è soprattutto un complesso d’inferiorità mal risolto?
Seconda bugia. Brunetta ingigantisce le capacità cospirative e progettuali di imprenditori, banchieri, editori italiani. Teme che Luca di Montezemolo e Corrado Passera si mettano d’accordo con Gianfranco Fini e Pierferdinando Casini, sostenuti da Carlo De Benedetti e gli azionisti del “Corriere della Sera”? Ma va là, con poche eccezioni la borghesia italiana è talmente sgangherata da risultare sottomessa al potere berlusconiano di cui Brunetta è ingranaggio. Sono decenni che in questo paese si annunciano operazioni “terziste” che poi abortiscono. Brunetta se la prende con le “élite eversive della rendita parassitaria, burocratica, finanziaria, editoriale” sapendo perfettamente di far parte di un governo incapace, in difficoltà, che dispone di vasta maggioranza parlamentare ma non toccherà mai quelle rendite perché molti suoi sostenitori se ne avvantaggiano.
Terza bugia. Brunetta augura a “certa sinistra per male” (la sinistra “perbene” sono quelli che la pensano come lui) di “andare a morire ammazzata” (lui che si autocommisera di essere nel mirino dei terroristi), per una ragione che temo non riesca neppure a confessare a se stesso. Boicottato fin dentro il suo stesso governo, il ministro sente avvicinarsi l’ora in cui il suo bluff verrà “visto” dal popolo di cui ama riempirsi la bocca. Già una copertina dell’”Espresso” gli ha contestato i dati sul calo dell’assenteismo nella pubblica amministrazione, e Brunetta ha risposto parlando d’altro. Ma la vera domanda è: dopo tante chiacchiere, gli italiani che hanno a che fare con gli uffici pubblici si sono accorti di qualche miglioramento?

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