Il nuovo passaporto di Obama

martedì, 3 novembre 2009

Questo articolo è uscito su “Nigrizia”.
L’assegnazione del premio Nobel per la pace a Barack Hussein Obama ha scatenato una discussione sulla tempistica più o meno opportuna di questa scelta inaspettata che sinceramente non ho trovato interessante. Si è premiata una biografia? Una politica acerba? Delle buone intenzioni ancora sulla carta? Oppure si è punita per interposta persona la linea fallimentare del predecessore di Obama alla Casa Bianca? Sarebbe stato meglio aspettare un altro anno, o la fine del primo mandato? E se poi il premio Nobel per la pace decidesse di scatenare una guerra (non sarebbe la prima volta)?
Provate a seguirmi in un ragionamento diverso, nell’attesa che ritirando a Stoccolma l’alta onorificenza sia il diretto interessato a chiarirci le idee.
Cos’è, ormai da molto tempo, il premio Nobel? Lo definirei una modalità non formale, ma efficacissima, di elevare un personaggio al rango di cittadino del mondo. Il vincitore del premio Nobel, certo, dà lustro alla nazione di cui ha il passaporto. Ma da quel momento ne prescinde, è chiamato a rappresentare una funzione sovranazionale al servizio dell’umanità tutta.
Ecco, ora provate ad applicare questo schema a un neoeletto presidente degli Stati Uniti che già detiene nel suo pedigree esistenziale la dimensione meticcia di un’America intrisa d’Africa e d’Asia. Non mi stupisce affatto che le reazioni più indispettite al premio Nobel assegnato a Obama siano venute dal mondo politico e dall’opinione pubblica statunitense. Da quelle parti sono abituati a considerare l’inquilino della Casa Bianca come supremo artefice degli interessi degli Stati Uniti d’America nel mondo. Gli garba poco l’idea che il loro presidente si consideri cittadino del mondo, portatore di interessi universali, come l’Accademia svedese delle scienze lo sollecita a diventare.
Più che un incoraggiamento, a me pare che Obama con il premio Nobel abbia ricevuto un incarico: quasi che gli toccasse portare in tasca un passaporto diplomatico internazionale, rilasciatogli nella speranza che egli consolidi il suo sguardo globale sull’agenda delle vertenze mondiali. Se è così, l’idea non mi sembra niente male.
Poi ci sono i dettagli personali, naturalmente a fare la differenza. Ho notato con sollievo che Obama, saputo di avere ricevuto il premio Nobel, ha subito dichiarato di non essere affatto sicuro di meritarlo. Negli stessi giorni in Italia un suo collega politico si proclamava miglior statista degli ultimi centocinquanta anni e, guardando fisso nella telecamera, gridava agli italiani la parola “viva” seguita dal suo proprio cognome. Un bel contrasto, non trovate?

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